Alla Biennale Internazionale Donna del prossimo 8 marzo un omaggio alla pittrice triestina recentemente scomparsa.
Il prossimo 8 marzo 2019 alle ore 17:30 alcune opere della pittrice triestina Alice Psacaropulo verranno esposte durante la Biennale Internazionale Donna 2019 al Magazzino 26 – Porto Vecchio.
In occasione dell’inaugurazione della Biennale Internazionale Donna 19 verrà rappresentato “Querida Alice”, il breve omaggio scritto da Michele Casaccia e interpretato da Emiliana Provenzale con musiche di Iva Bobanović. La scenografia è a cura dell’arch. Barbara Fornasir.
Approfondiamo l’argomento attraverso le parole di Michele Casaccia, nipote della pittrice ed organizzatore della mostra.
Mi sono chiesto spesso dove stesse mia nonna. Dove stesse per l’arte e per la critica, per Trieste e la sua storia. Avevo bisogno di capire quanto essere franchi, quanto inutilmente duri, quanto ingenuamente generosi nel parlarne con chi mi chiedeva di lei.
E questo è il motivo per cui spesso sceglievo di non parlarne affatto, lasciando credere che il mio silenzio ne volesse presagire un altro: quello dell’oblio nel quale l’avrei abbandonata. Il problema era anche che il destino mi aveva portato lontano da studi che mi avrebbero aiutato a veder le cose con gli occhi del disincanto, per cui, a dirla tutta, non ero davvero in grado di esprimere quel giudizio.
Col tempo poi, leggendo ciò che di lei aveva scritto chi per cultura avrebbe dovuto capire meglio di me, ho iniziato a convincermi che la storia di mia nonna potesse essere, in piccolo, la storia della Trieste del secondo Novecento: entrambe isolate dal contesto nazionale, incalzate da un passato che riemergeva ogni qual volta se ne parlasse, o di suscitare quell’interesse che solo il succedersi di sempre nuovi e più clamorosi avvenimenti può garantire.
Ancora non avevo capito che non era quello il punto e non spettava a me, custode di ben altri sentimenti, formulare quel giudizio; a me che avevo avuto sempre ciò che nessun critico ha avuto mai: la fortuna di poterle stare accanto in quelle giornate passate a non dirsi niente, quando niente avrebbe potuto portarla ad essere ciò che non era.
Come in altri artisti triestini, anche in Alice Psacaropulo c’è stata sia la ricerca di una dimensione altra, artistica, sia la ricerca di una “normalità”, di una quotidianità fatta di famiglia e lavoro. Ecco perché nei suoi quadri appaiono così spesso parenti e amici.
Ed ecco quale doveva essere l’unico campo di indagine per me possibile; ecco come questa tensione, questo compromesso tra pubblico e privato fosse l’unico a mettermi nella condizione di poter vedere i rapporti tra i processi creativi e le loro interpretazioni. Lo capii solo quando, mettendo a posto lo studio assieme al valente Daniele Salerno – cui per questo va la gratitudine di tutta la famiglia – mi finì tra le mani una lettera scritta a macchina proveniente dall’Honduras, datata 1982.
Verso la fine degli anni Settanta, infatti, la nonna era partita per un viaggio che le sarebbe rimasto nel cuore, forse perché il suo ultimo grande viaggio. Un viaggio in Centroamerica, in solitaria, per visitare paesi che pochi anni più tardi avrebbero versato in una crisi profonda, motivo della preoccupazione che possiamo intuire all’origine del breve scambio epistolare.
Nel 1982, però, un altro avvenimento avrebbe cambiato la sua vita: la morte, avvenuta pochi mesi dopo l’arrivo di questa lettera, di suo marito Giorgio, cui vanno le righe conclusive e tristemente bene auguranti. Quando gliele tradussi fu l’unica volta che vidi mia nonna commuoversi. E quello fu il momento in cui capii.
Capii che il 1982 sarebbe stato uno spartiacque nella sua produzione, che infatti da quel momento si sarebbe concentrata nella pittura di medici, musici e soprattutto di soggetti sacri. Impotenti, i contorni erano spariti. Persi nell’impressione, i colori avevano raggiunto l’estasi…
Ma capii soprattutto che questa era una delle storie che avrei saputo raccontare a chi mi chiedeva di lei, e che per farlo non avevo che da usare le parole con cui mia nonna aveva ceduto alla tentazione di dare espressione all’immateriale corporeità del suo desiderio di verità.
Le parole dei titoli dei suoi quadri.