Anche questa edizione del Trieste Film Festival giunge al termine. Pur essendo l’ultimo giorno di kermesse, il programma è ricco di cose da fare e vedere.
Tutte le edizioni che abbiamo seguito ci hanno dato accesso a delle letture creative del mondo e della vita, sotto nuove prospettive. Immaginari diversi. Produzioni indipendenti spesso nate come progetti di cui non se ne prevedeva il risultato.
Ma uno dei meriti più grandi di questo festival è quello di rendere il pubblico consapevole del meticoloso lavoro e fatica che ci sono dietro ogni prodotto cinematografico.
Le speranza di un produttore o regista di poter vedere il loro progetto su un grande schermo, davanti ad un pubblico attento e, (perchè no?), magari vincere un premio per la categoria in concorso.
E dall’altra parte il pubblico. Ciascuno spettatore a sentirsi come il primo uomo sulla Luna!
Perchè è così che ci si sente quando ti mettono davanti ad una storia raccontata da un punto di vista a cui non avevi mai pensato!
Come sempre non tutto è bellissimo, a volte anche discutibile, ma al netto di tutto è un festival che fa’ bene! Fa’ bene conoscere creatività alternative, urgenze narrative diverse, punti di vista influenzati da bagagli storici differenti.
Delegacioni, premio lungometraggio 30a ed.
Per la categoria dei lungometraggi, ad aggiudicarsi il premio è stato Delegacioni di Bujar Alimani. Coproduzione albanase, francese, greca e kosovara.
L’ambientazione è quella di un’Albania all’alba del crollo del regime comunista e che cerca di accreditarsi, presso i Paesi europei, come un Paese dall’indole quasi democratica.
La pellicola si concentra su come l’Albania, in un momento di forte crisi economica e di ideali, non riesca a fare i conti con la realtà. Dalle infrastrutture che mancano o non funzionano, all’arretratezza nei vari settori. Quasi la restituzione plastica di come quegli ideali socialisti di redistribuzione delle ricchezze, siano stati gradualmente traditi proprio da coloro che dovevano garantirli. Forse nulla di nuovo sotto il cielo della politica!
In questo contesto si inseriscono personaggi dalle idee contrapposte: la figura dell’intellettuale incarcerato per la sua visione di un socialismo progressista; e la figura del carceriere orientato al socialismo duro e puro.
Particolarmente significativo è il dialogo tra i due quando, screditando la figura dell’intellettuale, il carceriere dice “io non ho studiato e sono un uomo libero”; lì l’intellettuale risponde ” se tu avessi studiato, io non sarei in prigione”. L’intero film potrebbe riassumersi così.
Last Call premio sezione cortometraggi
Last Call della giovane (classe 1990!) regista ungherese Hajni Kis, si è aggiudicato il premio miglior cortometraggio.
Last Call non è altro che mezz’ora di stretta al cuore.
Bastano poche inquadrature per empatizzare con la protagonista. Anikò, a 61 anni, decide di trasferirsi all’estero dalla figlia e per farlo si prepara scrupolosamente.
Deve sostenere un esame di inglese, trovare a chi affidare la pianta, infilare il formaggio in valigia, ma soprattutto non perdere l’aereo!
La domanda che mi sono posta guardando questo film è stata “come abbiamo fatto a rendere il mondo così complicato?”.
Subito dopo il pensiero va alla mamma/zia/nonna di una certa età, e a quanto sia complicato il mondo che gli abbiamo messo davanti. A tutte le volte che abbiamo guardato con sufficienza una signora in evidente difficoltà agli imbarchi degli aeroporti. Insomma, a quanto essere “giovani” ci autorizzi a non curarci di chi lasciamo indietro.
Questa trentesima edizione ci lascia così un po’ primo uomo sulla Luna, e un po’ in debito verso chi cerca di starci dietro, nonostante non ne valga la pena.