Un racconto sull’amore. La vicenda di una famiglia. Uno degli scrittori italiani più apprezzati del nostro tempo, Gianfranco Calligarich, pubblica per Aulino Editore, nella collana Coup de Foudre diretta da Accursio Soldano, una storia in cui sono protagonisti i sentimenti e si trasmettono, integri, attraverso tre generazioni.
Calligarich ha iniziato la sua carriera come giornalista per poi dedicarsi all’attività di sceneggiatore, firmando alcuni degli sceneggiati RAI più celebri (Piccolo mondo antico, La casa rossa, Storia di Anna). Si occupa in seguito di teatro, come autore e regista, fondando il Teatro XX Secolo. Vincitore, tra i molti riconoscimenti letterari, del Premio Bagutta e Premio Viareggio, l’autore, in questo suo breve lavoro, regala al lettore un assaggio della sua poetica e dei temi a lui cari.
Un racconto familiare che attraversa tre generazioni. Come ti è venuta l’idea?
Mi piace lavorare sulla vita e lo scorrere del tempo e la famiglia può essere un buon campo d’azione. Almeno lo è stata per il romanzo che mi ha impegnato di più, La Malinconia dei Crusich, dove ho raccontato la storia vera della mia numerosa e avventurosa famiglia per quattro generazioni lungo tutto l’arco del Novecento con le sue guerre e le sue tragedie che hanno cambiato il mondo in maniera irreversibile. Libro che proprio per quel motivo è stato accostato ai Buddenbrook e a Cent’anni di Solitudine cosa che ovviamente mi ha lusingato.
L’amore per la madre è il fulcro della narrazione. Per trasmettere cosa?
Beh, dobbiamo a nostra madre il fatto di essere al mondo e questo già basterebbe per sentirci legati a lei in maniera irreversibile sia che l’essere al mondo ci piaccia sia che no. E questo può portare sia all’amarla che al detestarla, la letteratura è piena di esempi in questo senso. Quello che mi attirava nel racconto era un figlio di cinquant’anni che scriveva alla madre di ventidue e che era morta mettendolo al mondo. Madre che poi in qualche modo ritrova nella figlia.
Ma la vita è davvero fantastica?
Mah, tutto sommato direi di si se non altro per la sua imprevedibilità e a dare così agli scrittori materia per raccontarla.