Beh certo, potrei iniziare questa riflessione sul film citando i primi versi di Bohemian Rhapsody “Is this the real life, Is this just fantasy?” (è questa la vita reale, è questa solo fantasia?) ma l’hanno fatto già in tanti.

Potrei anche iniziare dicendo che il film (di cui è già stata scritta una recensione su queste pagine), ha diversi errori “storici”, ma anche questo lo hanno già scritto in tanti, anche se questi “tanti” probabilmente non sanno di aver scoperto l’acqua calda: basta fermarsi fino alla fine dei titoli di coda per leggere l’avvertenza “Ispirato a fatti realmente accaduti anche se per esigenze di scrittura gli stessi sono stati modificati”.

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E questo ci sta perché fare un film su una band che alla fine non ha prodotto scandali rilevanti non deve essere stato facile, se non modificando la cronologia dei fatti, anche in modo macroscopico.

Un paio di esempi: Freddy Mercury non fu il primo Queen a realizzare un album solista, ma fu il batterista Roger Taylor che nel 1981 pubblicò “Fun in Space” mentre solo quattro anni dopo, nel 1985 dopo due anni di lavoro Mercury pubblicò il primo album solista “Mr Bad Guy”, che conteneva “I Was born to love you” e “Living on my own”.

Quindi la presunta lite nel film dove Mercury annuncia di avere un contratto milionario con la CBS per due album solisti e gli altri ne restano sconvolti è falsa, anche perché Mercury nel film motiva la separazione anche per le pessime reazioni avute per il video “I Want to break free” (quello dove sono tutti vestiti da donna e lui appare cantando mentre passa l’aspirapolvere”), quando la canzone e il relativo video in realtà sono del 1984, l’anno in cui, nel mese di febbraio, uscì l’album “The Works” che lo conteneva insieme alla notissima “Radio Ga-ga”.

Quindi, non è neanche vero che si riuniscono per “Live Aid” che è del 1985, visto che l’album The Works fu seguito da un tour mondiale che li portò anche in Italia, prima al festival di Sanremo poi il 14 e il 15 settembre al Palazzo dello Sport di San Siro (crollato poi sotto la neve qualche mese dopo) per due memorabili concerti.

Invece è proprio da qui che voglio iniziare a parlare di questo film.

Perché la mia vita professionale è legata in qualche modo ai Queen. Posso dire che io c’ero a quel concerto. Me lo ricordo benissimo con la scenografia che ricordava il video di Radio Ga-ga, il famoso ingranaggio del film di Fritz Lang “Metropolis”.

Me lo ricordo anche se ho visto un puntino, anzi, quattro puntini, visto che ero seduta in alto alla destra dell’immenso palco. Fu un happening incredibile, per me poi che avevo scoperto i Queen con “Somebody to love” perché Rai1 lo aveva usato come sigla per i film del lunedi sera.

Me lo ricordo perché quel concerto era organizzato da Franco Mamone, il grande promoter italiano (quello del primo Springsteen a San Siro, quello di Bob Marley sempre a San Siro, quello che portò la PFM negli Stati Uniti, quello che scoprì i Police, quello dei concerti di Prince….) scomparso nel 1998 e con cui lavorai come ufficio stampa per sette anni (dal 1989 al 1996). Chissà, un destino. Poi Mamone citava sempre, non ricordo per quale motivo, Jim Beach, il secondo manager storico del gruppo.

Sempre nel 1991 ricordo che per un mensile di musica in cui lavoravo, intervistai Roger Taylor, il batterista. Me lo ricordo avvolto in lungo cappotto nero, occhiali neri. Il biondo spiccava tantissimo. Mi ricordo il suo sguardo triste quando parlavo dei Queen di cui era uscito da poco quello che poi divenne l’ultimo album di Mercury con i Queen, “Innuendo”, una sorta di ritorno a quello che fu “A day at the Opera” vista la somiglianza stilistica tra “Bohemian Rhapsody” e “Innuendo”

Da li a qualche mese Mercury sarebbe morto, ma il mondo non lo sapeva.

E ricordo bene lo sguardo triste di Taylor che nascondeva questo segreto.

Dieci anni dopo mi ritrovai a lavorare in Emi, la casa discografica dei Queen, e tra i miei incarichi ci fu quello della celebrazione del decennale della morte di Mercury per cui preparai uno special a lui dedicato per MTV Italia.

Quindi questo film l’ho atteso molto, per affetto, per questo doppio filo di ricordi.  E tanto basta per essermi piaciuto nonostante le imperfezioni storiche. Tutti hanno detto che Rami Malek è davvero Mercury. Basta guardare, anche chi non ha visto il film, la scena finale del concerto di Live Aid. Sta girando un video dove sono affiancate le immagini del film e le immagini reali di Mercury mentre canta Bohemian Rhapsody davanti ad una folla immensa al Wembley Stadium e ad un oceano di persone incollate alla tv in tutto il mondo (me compresa, credo di avere ancora le registrazioni di Live Aid su video cassetta)

Basta guardare quello per constatare l’incredibile lavoro fatto da Malek sul personaggio.

Tutti hanno detto che lui è perfetto, che merita l’Oscar, ma pochi hanno parlato invece della incredibile somiglianza dell’attore Gwilym Lee che interpreta il chitarrista Brian May.

Certo lui aveva l’originale vivente che lo ha guidato, ma il risultato è davvero strabiliante. Così come Joseph Mazzello nelle vesti del bassista John Deacon. Seppur bravissimo il giovane Ben Hardy che interpreta l’irruento e spesso collerico Roger Taylor, appare meno convincente anche perché, nell’arco degli anni, se gli altri componenti cambiano, lui resta uguale come nella prima scena, non invecchia mai.

Tra gli attori somiglianti voglio citare anche Dermot Murphy, che, anche se per poche inquadrature, è identico a Bob Geldof.

Un film da vedere assolutamente. Per gli appassionati, per i giovani, per chi lo è meno ma ha vissuto quelle storie, ascoltato quella musica dai 33 giri, visti i primi video.

Non segue la storia, ma a questo punto importa poco. L’importante è rivivere la musica (pochissima purtroppo nel film) del più grande gruppo rock di tutti i tempi.

Ps. Ho letto da qualche parte che è assurdo che il film si fermi al Live Aid e non arrivi alla morte di Mercury e ipotizza un seguito, magari intitolato “The show must go on”.  Niente di più sbagliato. E’ giusto che si fermi lì e che ci faccia ricordare Mercury al massimo del suo splendore.

Il resto è solo il ricordo di una triste storia.
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