Dopo Next to Normal e Green Day’s American Idiot, la STM — Scuola del Teatro Musicale di Novara mette in scena Rent, di Jonathan Larson, uno tra i soli otto titoli nella storia del musical contemporaneo ad aver ottenuto il Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1996.
Ma la nuova versione italiana presentata al Teatro Superga di Nichelino, con libretto e liriche curate da Andrea Ascari, pur rivelandosi un allestimento innovativo e accurato, non colpisce particolarmente sotto il profilo emotivo, configurandosi essenzialmente un adeguato banco di prova professionale per i neodiplomati di una delle eccellenze formative italiane nell’ambito del musical.
Rent è il ritratto della generazione bohèmien newyorkese, in un contesto di emarginazione e tossicodipendenza: un gruppo di giovani artisti, musicisti e attivisti squattrinati, che tentano, tra numerose difficoltà, di vivere uno storia d’amore, crearsi un futuro e trovare il proprio posto nella società. Si può misurare un anno di impegno e passione, portandolo sul palcoscenico? Prova con l’amore.
Si risolve sostanzialmente in quest’unico passaggio il senso dell’operazione di rinnovamento di libretto e liriche italiane compiuto da Andrea Ascari (nel complesso, efficace, ma non incisiva) e della regia della giovane Costanza Filaroni (intuitiva e a tratti dinamica, ma stilisticamente ancora “acerba”).
Una buona intuizione registica è stata quella di lasciare il palcoscenico completamente “aperto” alla vista del pubblico, anche se alcune controscene sono state penalizzate da momenti di eccessiva confusione sulla scena e da una fonica non sempre impeccabile.
Le coreografie di Francesca Taverni (già interprete della prima edizione italiana, nel ruolo di Maureen) si sono rivelate un valido sostegno per i giovani performer nel far prendere loro confidenza con il palcoscenico e i rispettivi personaggi.
Quando le coppie funzionano
Il cast funziona, ma l’obiettivo è stato raggiunto affidandosi molto alla concentrazione e trascurando, a tratti in maniera evidente, la componente emotiva dello spettacolo.
I neodiplomati brillano (quasi) tutti per tecnica vocale, stile interpretativo e naturalezza della singola presenza scenica. Ma danno il meglio soprattutto in coppia: Davide Gasparrini rende molto credibile il tormento interiore di Roger e il suo pessimismo verso il futuro; Laura Attaccalite, nei panni di Mimì, offre la performance più completa di tutto lo spettacolo. Insieme, i due performer costituiscono una coppia visibilmente affiatata, costituendo un valore aggiunto per i rispettivi personaggi.
Angelo Barone (Mark) incarna fino all’eccesso il ruolo dello spettatore esterno delle vite bohèmien, tra accettazione di sé omosessualità e il dilagare dell’Aids: in alcuni momenti, sembra essere fuori posto sul palcoscenico, ma si riprende benissimo, per esempio, nella divertente esecuzione di Tango Maureen, in coppia con Susan Bonotti; quest’ultima è una risoluta Joanne, sempre coerente con il proprio personaggio, la cui personalità tiene testa all’esuberanza di Alessia Genua (Maureen), sua partner nella tecnicamente memorabile interpretazione di Take Me or Leave Me.
Ma soprattutto, esuberanza è la cifra stilistica che caratterizza Angel, un ruolo dalle mille sfumature: Giacomo Ballarè ne approfondisce solo il lato provocatorio e ammiccante, senza però cogliere pienamente l’essenza della drag-queen e il dualismo che rende un’icona il suo personaggio.
Accanto a lui, Davide Torlai è un Collins tecnicamente molto preparato, in grado si sfruttare al meglio il potenziale interpretativo – ma non quello emotivo di un brano come I’ll Cover You, sia in duetto, sia nella reprise in assolo.
Il climax emozionale si raggiunge all’inizio del secondo atto, con l’esecuzione di Seasons of Love, da parte di tutto il cast; ma, per quanto rappresentativa, una sola canzone non può sprigionare il potenziale emotivo racchiuso – e non emerso – in oltre due ore di spettacolo.