E’ opinione ancora liberamente diffusa che ci siano generi che non possono salire a bordo del grande carro della letteratura. C’è ancora un numero pericolosamente alto di lettori o aspiranti tali che si trincerano dietro stereotipi vetusti e ghettizzanti: come quello che vuole che il fantasy sia un genere di serie B, un qualcosa che serve solo per fuggire da una realtà noiosa.
Un tipo di letteratura che non veicola messaggi di nessuna importanza, che non si fregia di simbolismi ed allegorie e che serve come mero strumento di evasione. Con buona pace di maestri come J.R.R. Tolkien che sono stati in grado di narrare il mondo attraverso le avventure di hobbit ed elfi.
Perché, chiaramente, non è vero che il fantasy sia un genere vuoto, che non insegna niente.
Per parafrasare le parole di Gilbert Keith Chesterton, la letteratura fantastica non serve ad insegnarci che esistono i draghi, ma serve a ricordarci che possono essere sconfitti. E in ogni scaglia di questi draghi metaforici si nasconde una piaga, un male della nostra società che anche un genere tanto astratto come il fantasy può affrontare, in modo più che dignitoso.
E’ quello che ha scelto di fare Tomi Adeyemi con il suo Figli di sangue e ossa, titolo edito da Rizzoli che ha rappresentato un caso sin dall’uscita in lingua originale. La storia è quella di Zélie, ragazza dai lunghi capelli bianchi e occhi ricolmi d’argento, che insieme al fratello Tzain e all’aiuto insperato della principessa Amari, intraprenderà un viaggio per riportare la magia nel regno di Orisha, dove undici anni prima i maji di questo mondo, ambientato nel cuore nigeriano dell’Africa, sono stati trucidati per mano del re folle Saran.
In poche righe, la trama di Figli di sangue e ossa è tutta qui: una riproposizione dello schema che Christopher Vogler ha descritto nel suo lavoro più famoso, Il viaggio dell’eroe. Uno schema che mette al proprio centro una Prescelta con il compito di salvare il mondo e che, dopo un inizio pieno di dubbi e ostacoli, prende consapevolezza del proprio valore e della propria forza.
Tuttavia Tomi Adeyemi non si contenta di raccontare una – bella – storia fantastica: la scrittrice ventiquattrenne sceglie di raccontare la storia di Zélie e Amari, la guerriera e la principessa, per prendere di petto un problema che scuote ancora oggi le radici del popolo americano: il razzismo contro la comunità afroamericana. Le due protagoniste del romanzo, allora, così come tutti i personaggi che ruotano loro intorno diventano metafore e simboli di una costante lotta al diverso, una vera caccia alle streghe, un continuo sfoggio di violenza e intolleranza.
I maji che Zélie cerca di riportare in superficie, dopo anni di soprusi e ingiustizie, diventano i cittadini afroamericani che sono stati vittime di altrettanti colpi e altrettante violazioni di diritti. Uomini, donne e bambini che hanno subito i soprusi di una polizia che non si è mai liberata del tutto di una forma di razzismo che la spinge a impugnare un’arma molto più facilmente quando ha a che fare con persone di colore, piuttosto che con persone caucasiche. E, non a caso, Tomi Adeyemi riconosce in Angie Thomas – autrice dell’altro libro rivelazione The Hate U Give – una voce amica e una sorta di modello da seguire.
Una volta presa coscienza di questa lettura crudelmente attuale di Figli di sangue e ossa, il romanzo guadagna una dimensione che ne arricchisce il valore, già altissimo. La storia della Adeyemi, pur ricadendo in alcuni topoi del genere fantasy young adult (come, ad esempio, l’instant love di due dei protagonisti e il percorso di redenzione del villain), colpisce immediatamente non solo per la forza del world building, ma per l’originalità dell’ambientazione.
Appassionata di mitologia africana, l’autrice colora con una scrittura vividissima un mondo fatto di giungle e deserti, popolata da una magia che ha a che fare tanto con le vette del cielo, quanto con la terra arida di un paese in ginocchio, arso dal fuoco e dalla crudeltà di un sovrano pieno di limiti e paure. Le pagine, ricche di azione e mai prive di un ritmo che inducano a proseguire la lettura, scorrono via senza che al lettore venga chiesto di avvertire il peso di quasi seicento pagine di racconto. Il tutto veicolato dalle voci dei protagonisti.
Con punti di vista alternati, Figli di sangue e ossa si costruisce intorno ai pensieri e alle decisioni dei suoi personaggi, soprattutto della protagonista Zélie, ragazza che scopre la sua forza attraverso la presa di consapevolezza delle sue fragilità, delle sue paure, ma anche delle sue radici. Commovente e ben scritto, Figli di Sangue e Ossa è già diventato un caso editoriale e se amate il genere, così come le storie ben raccontate, non potrete fare a meno di amarlo.