Un Rinaldo partenopeo per Teresa Iervolino!
Domenica 29 luglio presso il Palazzo ducale di Martina Franca, all’interno del prestigioso Festival della Valle d’Itria, tornerà in scena per la prima volta in epoca moderna il Rinaldo di G.F. Händel. In verità la versione che presentata è ben più ghiotta: si tratta infatti di quella stessa opera, ma rivista e interpolata da Leonardo Leo per la messinscena napoletana del 1718, voluta dal divo partenopeo, il celebre cantore evirato Nicolò Francesco Leonardo Grimaldi, noto come il Cavalier Nicolino.
Quest’ultimo, dopo una straordinaria carriera europea, di ritorno a Napoli portò con sé la partitura del Rinaldo e, riportandola in scena, volle adattarla ai gusti di un pubblico assai differente. La versione napoletana, qui ricostruita con meticolosa attenzione da Giovanni Andrea Sechi, è più colorita, variegata e vivace, soprattutto grazie alle scene comiche, rappresentate dai due servitori Lesbina e Nesso, assenti nell’originale, oltre che da una diversa organizzazione del materiale musicale.
Nicolò Grimaldi, per cui Händel scrisse appositamente il ruolo di Rinaldo, fu un artista apprezzato per le sue doti vocali, ma anche per quelle sceniche, tanto che Charles Burney arrivò a definirlo «un grande cantante, e un ancor più grande attore».
In questa ripresa moderna il ruolo di Rinaldo sarà incarnato dalla giovane e promettente Teresa Iervolino. Contralto dal timbro caldo e dalle agilità scoppiettanti, ha alle spalle già numerose produzioni importanti e debutti prestigiosi, basti ricordare la sontuosa Cenerentola dell’Opéra National de Paris. L’abbiamo incontrata, fra una prova e l’altra, per parlare di questo nuovo debutto.
Affronterai una versione del Rinaldo di Händel molto particolare: vuoi dirci in che cosa differisce rispetto alla versione londinese?
Quello che salta all’occhio immediatamente, oltre al fatto che ci sono dei pezzi composti da Leonardo Leo eliminando alcuni di Händel (comunque della musica di Händel ce n’è molta…!) è la venatura comica della commedia dell’arte di matrice napoletana. Ciò non stupisce: pubblico napoletano, cultura napoletana, e quindi troviamo un nuovo inserto, cioè due parti scritte appositamente per Napoli che spostano l’asse dal dramma, che resta, sul lato comico. Questa venatura comica ci rimane accanto per tutta l’opera. Così anche noi personaggi seri abbiamo cercato, in qualche modo, di sviluppare l’aspetto comico. Il protagonista ci naviga dentro, perché ne è circondato, pur restandone estraneo.
Questo Rinaldo è definito un pasticcio. Il termine “pasticcio”, oltre a ricordarci un piatto prelibato e spesso molto ricco, ha connotazioni a volte negative nel linguaggio comune, ma musicalmente di cosa si tratta?
Anche se io preferisco di gran lunga il pasticcio culinario, che non mi dispiace, non c’è poi, secondo me, una lontananza di significato dai due termini. In fondo è un insieme di ingredienti, di avanzi, che viene messo insieme per fare un piatto ghiotto, proprio come suggerisci tu. Lo stesso avviene qui: due o più autori vengono assemblati per una sola opera per creare uno spettacolo ghiotto. Però non ha nulla di negativo. In quel periodo storico – nel 700 – era anche concesso e usuale creare i pasticci. I cantanti avevano il primo ruolo in una produzione e poteva operare in totale libertà. In questo caso è Leo che, per ordine di Grimaldi, rielabora l’opera.
C’è chi vede in questa edizione del Rinaldo una chiara volontà di Leo e Grimaldi di piegare l’opera originale non solo agli usi e ai colori locali del Regno di Napoli, ma anche alle volontà politiche dei regnanti. Ad oggi esiste ancora un legame fra scelte programmatiche e volontà politiche nei teatri?
C’è molta attenzione nella programmazione e soprattutto nella regia a non urtare qualcosa che potrebbe suscitare rabbia o scalpore soprattutto a livello sociale, più che politico. Per esempio in questo scontro fra Cristiani e Musulmani oggi ci sono rischi nel mettere l’accento sulla contrapposizione e sull’elemento di violenza. Facciamo attenzione a non urtare gli animi altrui, mi sembra un atteggiamento di rispetto verso il pubblico.
In questa produzione incarnerai non solo un eroe noto in letteratura, in musica e nelle arti pittoriche, ma allo stesso tempo un divo del passato, il celebre castrato Nicola Grimaldi, che fu appunto il primo Rinaldo: come affronti tutte queste responsabilità?
Io le affronto con grande entusiasmo. Anche perché quando hai a portata di mano quello che Grimaldi aveva creato, cioè la sua tavolozza di sfumature emotive e di arie e scene, sei già a cavallo. Era noto non solo come grande cantante, infatti, ma anche come grande attore. Io la vedo come una sfida a creare un eroe con tutte le sue gradazioni. Soprattutto un eroe moderno, quello che era Grimaldi e quello che io credo sia l’eroe oggi. Non solo del passato ma del presente, con le sue debolezze, fragilità, forze e anche il suo lato di antieroe.
È vero che il tuo personaggio si appropria dell’aria più nota dell’opera? In che modo avviene questa “appropriazione debita”, cioè tributo al divo, rispetto alla drammaturgia?
Semplicemente è stata presa l’aria e gli sono state cambiate le parole. Come Rinaldo, mi trovo in un momento di dubbi, di rabbia e di gelosia. Lì si vedrà il picco della fragilità di questo eroe e il suo lato più umano: la rabbia, la gelosia e l’amore sotto tutte le tue sfumature. Rinaldo canta l’aria dopo che ha rivisto Almirena convinto di essere stato tradito. Dice che la ama ma l’anima è lacerata dal tradimento e dalla rabbia, poi lascia la rabbia e torna in sé. Una specie di antiaiace. È il picco dell’opera in cui Rinaldo ha una svolta umana. Trovo che questa appropriazione, grazie a questa volontà drammaturgica, sia diventata non solo lecita, ma anche più funzionale allo svolgimento dell’azione.
Trovi che oggi ci siano ancora atteggiamenti divistici nel mondo dell’opera? Oppure vince il professionismo?
Credo che il divismo ci sia ancora, ma a volte il professionismo vince con molta più fatica di tante altre situazioni. Tuttavia spesso l’atteggiamento divistico – se sano – può essere un elemento necessario nel mondo dell’opera. Quello che c’era una sessantina di anni fa serviva anche a mantenere il valore del cantante, della musica e dell’opera stessa. Non è detto che divismo e professionismo siano realtà in contrasto!
Dal punto di vista tecnico il fatto che il ruolo sia stato scritto per un cantore evirato, una voce a oggi sconosciuta all’ascolto, ti ha posto delle difficoltà?
No, nessuna difficoltà, anche perché il bello delle opere barocche è che spesso l’uso dello spartito è una sorta di canovaccio, in cui nelle riprese puoi mettere in luce, attraverso le variazioni, le tue qualità e le tue capacità. Niente è facile, ma con lo studio la difficoltà tecnica si supera.
Se potessi portare con te una partitura di un autore prediletto, come fece il Cavalier Nicolino di ritorno da Londra con il Rinaldo, tu quale sceglieresti e perché?
Sceglierei la Petite messe solennelle. In particolare l’Agnus dei, che è secondo me un capolavoro assoluto, perché lì si percepisce l’anima di un uomo che si avvicina a Dio.
Il tuo repertorio è composto soprattutto di ruoli rossiniani, ma il debutto in Adalgisa e in Quickly sembrano spingerti verso l’Ottocento. Questo Rinaldo, tuttavia, apre prospettive nuove: il Barocco potrebbe divenire un territorio d’elezione?
Come molti altri cantanti, faccio i miei esperimenti. Di solito ben riusciti. Anche perché un cantante non dovrebbe essere legato sempre a un solo repertorio, senza spingersi oltre. Al contrario, sperimentare è interessante. Il mio repertorio può spaziare da Monteverdi fino a una parte del repertorio belcantistico.
Se non studi o non sei impegnata in una produzione, in quale luogo ti piace passare il tuo tempo?
In un posto tranquillo e insieme all’uomo che amo, ovunque sia.
Il tuo lavoro ti porta in molte città europee e non solo. In che modo riesci a mantenere i rapporti con la famiglia e con gli amici, pur rimanendo tanto tempo lontano da casa?
I rapporti si mantengono con il pensiero e con le energie. Oggi poi abbiamo le tecnologie che ci permettono di sentirci vicini alle persone, anche se non è stare lì, va bene ugualmente.
Per te che sei una rossiniana doc: che rapporto c’è fra la musica e la cucina?
Secondo me tra musica e cucina c’è un rapporto molto ravvicinato. Come la cucina anche la musica esce bene solo se si fa con amore. Se canto con amore, il personaggio esce giusto e viene fuori proprio quel che devo dare. Se lo faccio diversamente il piatto non è buono e neppure la performance!
Mi piacerebbe tantissimo un giorno, magari quando sarò anziana, aprire una “torteria” in costiera e creare dei dolci con i nomi operistici! Per ora, però, mi concentro sulla musica e su questo debutto!
Rinaldo
Dramma per musica di Giacomo Rossi
su una sceneggiatura di Aaron Hill, dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso
Musica di Georg Friederich Händel / Leonardo Leo (et al.)
Versione di Napoli 1718
Edizione critica e ricostruzione a cura di Giovanni Andrea Sechi
Prima esecuzione in tempi moderni
Armida Carmela Remigio
Goffredo Francisco Fernàndez-Rueda
Almirena Loriana Castellano
Rinaldo Teresa Iervolino
Argante Francesca Ascioti
Eustazio Dara Savinova
Lesbina Valentina Cardinali
Nesiso Simone Tangolo
Araldo di Argante Dielli Hoxha*
Uno Spirito in forma di Donna Kim-Lillian Strebel*
Mago Cristiano Ana Victória Pitts*
Direttore Fabio Luisi
Regia Giorgio Sangati
Scene Alberto Nonnato
Costumi Gianluca Sbicca
Luci Paolo Pollo Rodighiero
Orchestra La Scintilla
*Allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”