Dopo i libri di storia rispolveriamo quelli di filosofia e diamo un’occhiata ad alcuni film che hanno provato in due ore a rispondere alla domanda che il pensiero umano si pone da duemilacinquecento anni: qual è il significato della vita?
Guida Galattica per gli autostoppisti (2005)
Quarantadue. Possiamo terminare la nostra ricerca, abbiamo trovato la risposta a tutto quanto: quarantadue. Se non capite a cosa mi sto riferendo è perché non siete mia venuti a contatto con il capolavoro di fantascienza e comicità nonsense che sono i romanzi di Douglas Adams (ci manchi ogni giorno, Douglas).
Dalla sua saga culto sono stati tratti infiniti adattamenti, tra cui questo film con Martin Freeman e Zooey Deschanel. In breve: una specie aliena intelligentissima costruisce un computer per trovare la risposta alla vita, l’universo e tutte le cose, rimanendo però scioccanti una volta scoperta la sentenza calcolata dal computer: quarantadue.
Il punto è che non si può comprendere la risposta fino a quando non si trova la domanda. Guida Galattica è ciò che ottieni quando fai scontrare lo humour inglese con il fastidiosissimo battibeccare degli umani sulla vita, ed è tanto delirante quanto divertente.
Perché vederlo: è un classico moderno. E poi le password di metà dei nerd sul pianeta hanno qualcosa a che fare con il quarantadue, aprirete ogni account.
The Tree of Life (2011)
Terrence Malick ha insegnato filosofia. È sempre utile ricordare questo fatto prima di gettarsi nella visione di uno dei suoi film. E d’altronde Malick è conosciuto per tre cose: la sua riservatezza, la sua meticolosità maniacale e la filosofia, che permea ogni cosa nelle sue pellicole.
E infatti nel divisivo The Tree of Life – con Brad Pitt, Jessica Chastain e Sean Penn – tutto inizia con una citazione di Tommaso D’Aquino, ma nel corso del film i laureandi di filosofia potranno divertirsi a trovare citazioni sparsi a molti altri autori.
Questa volta Malick prova a indagare il senso della vita partendo però da una storia semplice – di gusto molto autobiografico – raccontando le vicende di una famiglia nel Texas degli anni ’50.
Alla quotidianità del racconto e a vicende più o meno importanti che investono i personaggi, vengono poi contrapposte immagini che descrivono l’universo, la natura incontaminata e quella selvaggia. Al racconto del singolo quindi, dell’individuo visto attraverso il tempo, viene messa in relazione la vastità del tutto, in un confronto tra individuo e cosmo, tra finito e infinito che attraversa un po’ tutta la filosofia.
Perché vederlo: al di là delle pretese (più o meno riuscite) di narrazione universale, è un film con una brillante regia, un’intelligente sceneggiatura e delle fantastiche interpretazioni.
Il senso della vita (1983)
Ah, i Monty Python. A volte mi viene da domandarmi cosa succederebbe se qualcuno provasse a produrre un film come questo oggi, se uno scenggiatore descrivesse a un produttore i primi deliranti quindici minuti di questa pellicola.
Un altro cult della comicità inglese, che ha visto tra gli altri anche la collaborazione di Douglas Adams; nonostante non sia il lavoro a cui i Monty Python erano più affezionati, o quello che sia riuscito come l’avevano immaginato, è indubbio che sia quello che più è rimasto nella pop culture e nell’immaginario collettivo.
Scene iconiche che ancora oggi sono citate e riprese, e che più che regalarci il senso della vita, ce ne restituiscono il caos. Per i sensibili, avvertenza: ci sono vomito e sbudellamenti.
Perché vederlo: perché sono i Monty Phyton, quasi quattro decadi dopo fanno ancora ridere.
A Serious Man (2009)
I film dei fratelli Coen sono come le cipolle di Shrek: pieni di strati. Ma invece di annoiarci con le possibili letture, affrontiamo quella più ovvia. Perché se Dio è bene esiste il male? Perché se Dio è giustizia esiste l’ingiustizia? Dai presocratici a Nietzsche potete fermarvi in un punto a caso della storia del pensiero occidentale e troverete sicuramente un filosofo/poeta/scrittore che sta sbattendo la testa contro quest’unico problema.
I fratelli Coen decidono invece di affrontare la questione riprendendo la parabola di Giobbe. Larry infatti – interpretato da uno stupendo Micheal Stuhlbarg – proprio come il personaggio biblico, è un uomo giusto a cui però sembrano capitare solo ingiustizie. Mentre la vita di Larry pare crollare pezzo a pezzo, l’uomo si rivolge a una serie di rabbini per cercare di capire perché Dio lo stia punendo.
Raccontata in questo modo potrebbe sembrare una tragedia shakespeariana, ma questi sono i fratelli Coen, quindi tutto è visto attraverso la lente del loro umorismo nero.
Perché vederlo: i dialoghi dei Coen pronunciati con le capacità recitative di Stuhlbarg. E poi la parabola dei denti del non ebreo: dieci dei minuti più geniali del cinema moderno.
Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (2014)
L’ultimo della trilogia che Roy Andersson ha dedicato al tema esistenziale è anche il più conosciuto, vincitore del Leone d’oro nel 2014.
Prima avvertenza: è un film senza una vera e propria trama orizzontale, ma è piuttosto un collage di molti piccoli quadretti. Seconda avvertenza: il linguaggio di Andersson, dai dialoghi ai movimenti di macchina (che in questo film non esistono) fino allo spazio fisico che occupano i personaggi è un linguaggio nonsense, qualcosa a cui i nostri cervelli abituati al classico linguaggio filmico possano reagire con gradi di fastidio che variano dalla noia al disagio.
Terza avvertenza: considerate le prime due avvertenze, non aspettativi che il film esista su un piano narrativo ma uno completamente metaforico. Prendetelo come una raccolta di aforismi.
Perché vederlo: è un trip di acidi senza bisogno degli acidi.