Al Teatro Alfieri, tappa torinese per Love Story, il musical tratto da un cult degli anni Settanta, considerato uno dei film più romantici di sempre.

Lo spettacolo è prodotto dalla Compagnia delle Formiche, in collaborazione con Project Leader e Accademia Musicale di Firenze.

A fare la differenza in questo allestimento in un atto unico di 105 minuti sono i musicisti dal vivo: una tipica formazione “da camera”, composta da un pianoforte e da una sezione archi, che coinvolge il pubblico nell’atmosfera intima e allo stesso tempo intensa che contraddistingue la struggente storia d’amore tra Oliver Barrett (Antonio Lanza), ragazzo di buona famiglia, giocatore di hockey e studente ad Harvard, e Jennifer Cavalleri (Maria Giulia Olmi), studentessa italoamericana, dalla forte e spiazzante personalità.

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Nonostante le differenze sociali i due si amano profondamente e, contravvenendo alle condizioni imposte dal padre di Oliver (Lapo Braschi), che non approva l’unione, decidono comunque di sposarsi e di formare una famiglia, superando numerose difficoltà.

Non riescono, però, ad avere figli e, quando entrambi si sottopongono ad accertamenti clinici, scoprono che a Jenny resta poco tempo da vivere, perché è affetta da leucemia fulminante.

Struggenti quanto il tema principale della pellicola diretta da Arthur Hiller risultano il numero di apertura e la scena finale del musical, entrambi ambientati durante il funerale di Jennifer: parenti e amici cercano le parole giuste per ricordarla e la stessa defunta si aggira, come un’ombra sperduta, in mezzo a tutta quella sofferenza, con la consapevolezza di desiderare ulteriore tempo per vivere.

Si tratta di scene corali significative, con un’ottima direzione musicale e movimenti coreografici essenziali, curati da Stefania Pacifico e riprodotti con perizia dall’ensemble.

Nel complesso, la regia di Andrea Cecchi risulta, tuttavia, “ordinatamente dispersiva” e il ritmo dello spettacolo viene scandito dalle buone capacità di improvvisazione dei due protagonisti, che vivono il loro quotidiano muovendosi con disinvoltura all’interno della scenografia di Gabriele Moreschi: in un contesto decisamente più “off” – incorniciato da due enormi alberi circondati da foglie appassite ai lati del palco – lo scenografo, è in grado, anche in un contest, di non far rimpiangere allestimenti più grandiosi ed elaborati.

Basta, ad esempio, un grosso tavolo al centro della scena per dare l’idea di una casa accogliente e di una cucina, dove i due protagonisti si cimentano nella preparazione di una cenetta a base di pasta al ragù che – tra rigatoni, fettuccine e maccheroni – farebbe invidia alle puntate più seguite di Masterchef o La prova del cuoco!

Maria Giulia Olmi prende sorprendentemente di petto il ruolo di Jennifer e quasi mette soggezione per come restituisce al pubblico il lato più cinico e appassionato del suo personaggio.

Antonio Lanza sembra voler complicare le caratteristiche essenziali di Oliver (ricco, viziato, un po’ spaccone), prendendo confidenza gradualmente col personaggio; ma, una volta oliato, il meccanismo, è come se Oliver vivesse di vita propria, facilitando il compito dell’interprete e l’empatia del pubblico.

La stessa empatia difficile da non provare osservando Roberto Colombo nei panni di Phil, padre di Jenny: esattamente il genitore che tutte le figlie in procinto di sposarsi vorrebbero avere; e dal cui scrupoloso e apprensivo “esame” qualsiasi pretendente vorrebbe sottrarsi con giustificato imbarazzo.

In definitiva, questo allestimento intimo e senza pretese di Love Story il musical è una piccola gemma da preservare: dopo le anteprime del 2016, la si può considerare, a tutti gli effetti, una delle novità più interessanti circolate nell’attuale stagione teatrale.

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