Il nome della rosa. Umberto Eco lo scrive nel 1980. Nel 1981 gli Amici della domenica, del salotto buono di casa Bellonci, gli attribuiscono il Premio Strega. Tradotto in 47 lingue è considerato tra i 100 libri più importanti del XX secolo. Arriva in teatro e anche qui un altro sold out.
Il nome della rosa è un best seller che ha raggiunto il grande pubblico anche grazie alla sua trasposizione cinematografica con la regia firmata, nel 1987, dal regista francese Jean-Jacques Annaud con un cast composto da Sean Connery, Frederick Murray Abraham, e da un giovanissimo Christian Slater.
Dopo quasi quarantanni, la figura di Guglielmo da Baskerville non perde il suo fascino. Questo personaggio rinascimentale, quasi illuminista, inserito nel Medioevo, con il suo metodo deduttivo conduce il pubblico all’interno di un giallo appassionante dai contorni gotici di un’abbazia dell’Italia settentrionale.
Stili, stilemi, chiacchiere inutili e disclaimer
Il romanzo di Eco, strutturato come un romanzo storico nello stile dei Promessi Sposi di Manzoni, prende in analisi un dato momento dell’Italia per raccontarlo con lo stile appassionante del giallo.
Ma non si tratta solo di un giallo in forma di romanzo storico, ma soprattutto di un libro fatto di altri libri. Tante sono infatti le citazioni, da farci considerare che il livello di coinvolgimento e apprezzamento de Il nome della rosa, dipenda forse più dal livello culturale del fruitore che da quello dell’autore!
L’ambientazione storico sociale, è un pretesto per raccontare la storia e per questo spesso vengono rimescolati fatti storici di epoche diverse, come anche personaggi reali con altri di fantasia.
Sembra opportuno precisarlo dato che certa critica, in passato, ha lamentato la mancanza di attendibilità storica del romanzo e la sua pendenza un po’ troppo a sinistra nel raccontare la Chiesa. Ricordiamo che il romanzo esce nel 1980, Anni di Piombo e certe posizioni con estrema facilità finivano per risultare pruriginose. È un attimo che scrivi Rosa e leggono Garofano.
Il contesto
L’Italia (che ancora Italia non è) del 1327 è una Babilonia di lingue e culture, contesa nel mezzo delle dispute tra Imperatore e Papa.
Il 1327 è un momento che vede al potere spirituale Giovanni XXII, che per capire di che tenore fossero le sue politiche ecclesiastiche, basti sapere che “Papa banchiere” era il suo soprannome.
In quegli anni i francescani riabilitarono una teoria, considerata eretica in precedenza, che sosteneva l’assoluta povertà di Cristo e dei suoi apostoli e quindi della Chiesa stessa, in totale contrapposizione a Giovanni XXII.
Il Papa li prende così in parola che emana un decreto per confiscare i beni dei frati una volta entrati nell’ordine francescano. A seguito di questo provvedimento molti frati furono costretti a rivedere le proprie posizioni. Di tutto questo lo spettacolo ne da’ una notevole restituzione scenica.
In questo contesto storico, vediamo il carismatico personaggio di Guglielmo da Baskerville, interpretato da Luca Lazzareschi e quello del giovane Adso, interpretato da Giovanni Anzaldo, chiamati a indagare sulle tracce del demonio.
La storia si dipana con il narratore in scena, Luigi Diberti (il vecchio Adso), una figura che sarà per il pubblico come un Virgilio in questa storia intricata.
La trama si infittisce
Una serie di morti strane cominciano ad accadere in questa abbazia. Guglielmo da Baskerville e Adso, sono i nostri Holmes e Watson.
Guglielmo da Baskerville si trova in questa abbazia non per caso, ma proprio sotto richiesta, per condurre delle indagini, visti i suoi precedenti come componente del comitato dell’Inquisizione. Ma i frati dell’abbazia non sanno di avere davanti un uomo cambiato rispetto al passato. Un uomo che ha abbandonato il giudizio su base dogmatica per adottarne uno più scettico.
Tanto che Guglielmo, da buon maestro quale è, consiglia ad Adso
Temi, Adso, i profeti della verità e coloro disposti a morire per la verità
Questi profeti della verità temono il riso perchè qualora esso venisse innalzato al rango di scienza, scomparirebbe il timore del diavolo, e ciò potrebbe portare a uno sconvolgimento totale del mondo.
Per questo il vecchio cieco Frate Jorge occulta, nella labirintica biblioteca dell’abbazia, il secondo libro della Poetica aristotelica sulla commedia.
Guglielmo si propone di scoprire e recuperare questo tesoro affinché venga riconsiderata la vera potenza del riso, come strumento con cui si possa dire la verità e cambiare le cose.
In breve anche la presenza dello stesso Guglielmo viene considerata scomoda.
Uno spettacolo da sold out
Nello spettacolo, in scena al Politeama Rossetti di Trieste fino al 10 Dicembre, la regia di Leo Muscato mantiene intatti tratti del romanzo, come l’importanza della tematica legata alla diatriba tra i sostenitori della povertà della Chiesa, e i suoi oppositori.
Notevole anche l’interpretazione di Luca Lazzareschi, capace di rendere il personaggio di Guglielmo più umano e quasi appesantito dalla grandezza del suo Sapere.
Piaciuto tanto Alfonso Postiglione, nei panni di Frate Salvatore e la giovane Arianna Primavera.
Ottimo il lavoro di scenotecnica come anche quello di trucco.
La curiosità per questo spettacolo è davvero tanta, e sembra, di volta in volta, avere un notevole successo di pubblico da città in città. Un sold out davvero senza tempo.