Per la regia di Nadia Baldi, fino al 5 novembre va in scena, al teatro Eliseo di Roma, Ferdinando di Annibale Ruccello con Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio e Franscesco Roccasecca.
Se manteniamo fede alle estreme parole di don Catellino, è l’amore, inteso però come forza dionisiaca e primigenia, la chiave di volta del testo di Annibale Ruccello e diretto da Nadia Baldi.
Una costruzione drammaturgica che non si limita ad analizzare le passioni più profonde mosse da questo sentimento, ma le declina in tutte le possibili sfumature: dalle vette platoniche del simposio fino alle più umilianti rivelazioni alla De Sade. Le parole, soprattutto, possiedono un peso specifico e vengono associate, inanellate, sottratte, suggerite, ora con violenza, ora con disperazione, ora con rassegnazione.
Sul “sistema linguistico” si basa il primo pilastro del testo: la negazione dell’italiano come mezzo di comunicazione. Il napoletano è la lingua impiegata, con consapevolezza e straordinaria inventiva, sonora e contenutistica insieme. L’occasione storica, poi, è il secondo.
L’isolamento forzato, post unificazione italiana, mette insieme (forse controvoglia, forse no) quattro caratteri esemplari: Donna Clotilde, una vecchia nobildonna decaduta, tirannica e umorale che, con le sue crisi e i medicamenti, incatenata ad un enorme letto bianco, sembra ricordare l’Argante del Malato immaginario; Gesualda, la cugina povera, un po’ infermiera, un po’ governante, zitella e puttana allo stesso tempo, che si rivela però un personaggio più complesso e stratificato di quanto non appaia in superficie; Don Catellino, un parroco di campagna, untuoso ed egoista, vinto dai desideri più infimi; infine Ferdinando, figura ambigua in bilico fra innocenza e malvagità, fra storia e attualità che con i suoi modi riesce ad annientare ogni difesa altrui per proprio interesse. In questo clima da romanzo storico, Ruccello scandaglia le brame e le menzogne dei suoi contemporanei, le contraddizioni e gli assurdi compromessi del mondo.
All’interno di questa realtà molteplice e ricca di suggestioni si realizza la misurata regia di Nadia Baldi facendo opera di esegesi sublime.
Eliminati gli orpelli storicistici e persino gli oggetti quotidiani, solo suggeriti dai gesti degli attori, la vicenda è spostata su un piano al limite del metafisico, in cui le luci (anch’esse ideate dalla Baldi) assurgono a commento luministico degli stati d’animo dei personaggi, mentre la scena è divenuta un ring in cui si combatte una guerra psicologica. Fatta di tendaggi e corde, superfici di lucido rame e alcuni seggioloni con le ruote, la suggestiva scenografia di Luigi Ferrigno costituisce il luogo ideale per questa impostazione, limitando i movimenti e imponendo dei luoghi deputati. Ingressi e uscite sono inaspettati ma visibili, tali anzi da istituire un inquietante dialogo muto fra l’azione e il pubblico.
Sulla scena implodono i rapporti fra i quattro personaggi che, a fasi alterne, sono vittime e carnefici al medesimo tempo. Ogni coppia di opposti si avvicina e si respinge, si attacca e si difende, in un diabolico gioco di imbrogli e raggiri, cui gli attori non si sottraggono, ma anzi favoriscono con ogni mezzo espressivo: essi seguono le indicazioni registiche, le incarnano alla perfezione con il corpo, la voce, gli occhi e ogni ruga del viso.
Deliziosamente innocente e diabolicamente astuto è il Ferdinando di Francesco Roccasecca, che alla bellezza dei tratti unisce punte di inaspettato talento. Ruvido e inquieto il Don Catellino di Fulvio Cauteruccio, che tocca il cuore con la sincera e conclusiva affermazione sull’amore e con la sua affettività tradita. Incarnare la straordinaria Gesualda, che attraversa trasversalmente tutti i rapporti, senza mai averla vinta su nessuno, forte delle sue sconfitte e vincitrice laddove è perdente, è un compito affidato alla talentuosa Chiara Baffi e al sapiente impiego delle sue doti fisiche e artistiche. Infine Gea Martire che, assieme alla regista, prende su di sé il peso di una tradizione interpretativa, rinnovandola con capacità, eleganza, classe e intuizione. Ella costruisce una Clotilde credibile e innovativa, senza dimenticare la sua storia.
Ogni sfumatura della voce, ogni movenza, ogni attesa, ogni sguardo hanno il potere di catturare l’attenzione e di trasformare in un istante il flusso drammaturgico, piegandolo ai capricciosi desideri dell’attempata nobildonna.
Il tutto è coerentemente ed efficacemente completato dai magnifici costumi di Carlo Poggioli e dalle suggestive videoproiezioni di Davide Scognamiglio.
Uno spettacolo da non perdere.