Nadia Baldi è attrice, produttrice, manager, ma soprattutto regista. Vanta collaborazioni con grandi artisti del cinema, del teatro e persino dell’opera lirica: da Riccardo Muti a Roberto Herlitzka, da Gea Martire a Lello Arena e Ruggero Cappuccio, con cui ha intrapreso da anni una stabile e preziosa collaborazione.
Nadia Baldi mette in campo la sua creatività con impegno e urgenza espressiva soprattutto sul palcoscenico e dietro la macchina da presa. In questi giorni fervono i preparativi per il debutto romano del Ferdinando di A. Ruccello al Piccolo Eliseo assieme alle anteprime in tutta Italia del suo ultimo film Veleni.
Noi l’abbiamo incontrata a Roma, in un tiepido pomeriggio autunnale, davanti a un buon caffè: fra sorrisi e ricordi ci siamo fatti raccontare qualche aneddoto della sua carriera artistica.
Ottobre è un mese denso di avvenimenti per te: il 18 il debutto del Ferdinando di A. Ruccello all’Eliseo di Roma e il 19 l’uscita del tuo film Veleni. Li vivi più come punti di arrivo o come nuove partenze?
Non credo che esistano punti di arrivo nel nostro mestiere. Si è in una ricerca continua senza sosta. C’è solo alle volte la sensazione di aver messo un mattoncino in più a quella necessaria conoscenza che serve a non rimanere ferma. La bellezza è sopratutto nella ricerca, mai nel risultato.
Nella tua vita professionale interpreti ruoli diversi, spesso complementari fra loro, regista, attrice, produttrice, manager… ma qual è il tuo preferito?
Di certo la regista …direi senza alcun dubbio. Il problema è che mi riesce bene o almeno ci provo a curare e a far crescere il mio lavoro e questo passa anche attraverso il ruolo di produttrice. Ma sto lavorando affinché qualcosa cambi… mi piace lavorare in squadra, da ex atleta professionista, amo pensare che il mio impegno debba andare verso un team pieno di entusiasmo ed energia.
Dalla scelta dei titoli dei tuoi lavori, a teatro e al cinema, si evince sempre originalità e ricerca, voglia di analizzare un diverso punto di vista e soprattutto di sperimentare i linguaggi. Come nasce un tuo progetto?
I miei progetti nascono dall’urgenza… è come un innamoramento di fronte al quale non esiste altro. Io amo molto certa drammaturgia, certa letteratura, certo cinema… non penso mai ad un progetto pensando al consenso, credo fortemente che il pubblico debba essere innalzato all’arte e che non si debba mai far abbassare l’arte al pubblico.
C’è differenza fra un progetto cinematografico e uno teatrale?
Si c’è differenza chiaramente nel linguaggio, nell’uso degli attori, dei mezzi… unico punto in comune è la trasmissione delle emozioni. Quello è un punto fermo che vive la mia vita creativa.
Riproporre il Ferdinando di Ruccello è un atto di coraggio, perché il confronto con la drammaturgia contemporanea può essere un rischio (penso alle polemiche sul Natale in Casa Cupiello di Latella ad esempio), ma dal successo già raccolto è stata una scommessa vinta. Come è nata l’idea di approcciare proprio questo testo del repertorio napoletano?
Ferdinando è sempre stata una mia urgenza… non l’ho mai vissuta come una sfida… non faccio regie per sfide… mi sono innamorata e questo è bastato. Se la si vuole considerare una sfida allora diciamo che è stata vinta perché vedere il pubblico in piedi ad applaudire e avere la fila al botteghino è di certo una bella vittoria.
C’è un altro autore legato a Napoli o un altro testo di Ruccello che vorresti portare in scena?
Parlando di drammaturghi napoletani ho già portato in scena Don Chisciotte di Ruggero Cappuccio con Lello Arena e Roberto Herlitzka. Credo che Cappuccio sia la massima espressione letteraria partenopea ma anche europea.
Il teatro napoletano è rimasto una tradizione viva, forse la più vitale nel panorama italiano. Qual è il tuo punto di vista su questa produzione oggi?
Sicuramente le radici del teatro partenopeo sono le più radicate e le più rappresentative nel panorama artistico.
Il suo segreto è nella lingua e nell’arte della comunicazione. Non credo che ci siano altri popoli con tanta ricchezza espressiva. Attenzione però perché Napoli ha sempre un po’ di difficoltà a confrontarsi con altro e questo, dal mio punto di vista, alle volte è un grande limite.
Ci sono state, nella tua carriera, tappe teatrali più significative di altre? Incontri o scontri?
Ci sarebbero tanti aneddoti rispetto a incontri e scontri… sono stati tutti estremamente importanti… ti fanno crescere, ti fanno arrabbiare e alle volte ti spaventano, ma è da questo che capisci che tu hai un valore che devi curare.
Mi ricordo una sera al teatro di Ravenna con Riccardo Muti mentre ero seduta in platea a vedere le prove di Cappuccio che dirigeva gli attori… lui è entrato in platea e io ingenuamente gli ho detto “salve…”.
Da quel momento non si è capito più nulla… poi però il tutto si è trasformato in una deliziosa cena chiarificatrice con staff annesso… indimenticabile!
Anche al cinema le tue esperienze sono state impegnative e autoriali, hai collaborato con attori di eccellenza e il prossimo film in uscita Veleni non è da meno, in quanto a cast, segno che gli interpreti ripongono fiducia nel tuo lavoro. Quale passaggio è per te più complesso nella preparazione di un film?
È sempre tutto molto complesso, ma nel contempo affascinante… spesso mi è stato chiesto “come è Lavorare con Herlitzka?” (a mio giudizio il più grande attore italiano e non solo). Ho sempre risposto: molto semplice e molto difficile. Come tutti i momenti creativi.
Come definisci la tua estetica cinematografica? Cosa conta di più, in questo ambito, il testo o l’immagine, la narrazione o la descrizione?
Io amo pensare che sia la verità ad essere necessaria e non altro… la verità è l’onesta intellettuale… troppo spesso si spaccia per arte ciò che è una confezione da supermercato.
C’è un movimento, una corrente o un regista in particolare a cui ti ispiri o ti senti più affine?
Strizzo l’occhio al cinema francese, amo Buñuel, Bergman, Hitchcock, De sica, Fellini diciamo un modo di fare cinema che non c’è più.
C’è, anche nel cinema, un sogno nel cassetto?
Il sogno è molto semplice: poter fare cinema … ma in Italia è davvero molto complesso.
Quanto conta la musica nel tuo lavoro? Ci sono state musiche che ti hanno aperto mondi inconsueti o sconosciuti?
La musica è la vita … io mi perdo in essa sempre… vorrei saper cantare, suonare, ballare per godermi nella pelle la musica… ma ci vorrebbero tante altre vite. La musica è allegria.
Come manager e docente hai la possibilità di scoprire i nuovi talenti e di portarli alla luce, ma è possibile oggi farlo senza “interferenze”?
Io amo le interferenze per poterle distruggere… mi diverto, sono in questo un po’ sovversiva e contro corrente… per avere Gea Martire protagonista di Ferdinando l’ho fatto… i teatri mi volevano imporre nomi televisivi… impossibile!
Vale la pena di intraprendere una “vita d’artista” oggi? Quali prospettive ci sono per un giovane che si avvicina al cinema o al teatro?
Le prospettive dipendono dall’urgenza… io vivo con questa necessità e credo che chiunque l’abbia possa accedere senza paura in questo mondo.
C’è qualcosa che non faresti mai, nel tuo lavoro?
Non farei mai ciò che non mi appassiona.
Quando non sei impegnata nel lavoro, cosa ti appassiona?
La mia vita privata, i miei cani, la lettura di libri, il mare: questi sono i momenti più cari.
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