Apre Le vie dei Festival un testo di Enzo Moscato Bordello di mare con città, summa visionaria in onore di Annibale Ruccello, per la prima volta sulle scene, se si esclude la preziosa versione radiofonica di Toni Servillo.
Bordello di mare con città, diretto da Carlo Cerciello con un cast di lusso e di eccellenza, è allestito in occasione dei 30 anni dalla scomparsa di Ruccello, animatore, assieme a Moscato, di quell’universo teatrale definito dai critici come “post-eduardiano”.
Il teatro napoletano ha una storia affascinante e colma di personaggi, idee, soluzioni e linguaggi fin dalle origini più antiche. Anche nella frenesia post unitaria di uniformità linguistica, ha mantenuto costantemente delle caratteristiche peculiari: fonetiche, edonistiche, linguistiche, filosofiche. Ha la sorprendente capacità di recuperare la tradizione, di rinnovarla e spingerla avanti tanto da mantenersi sempre in viva dialettica con la realtà, spesso anticipando mutamenti epocali. Non è un teatro di recupero, né di lacrimata conservazione anche quando può sembrarlo. Possiede invece accenti brutali e ancestrali come quelli della tragedia greca, tratti grotteschi come il teatro di Brecht, con cui condivide persino la naturale estensione alla musica, è corrosivo come il teatro politico, ma anche coinvolgente come quello nazional popolare.
Il gioco dei contrasti, che in altri ambiti genera mostri, qui sa generare capolavori ineffabili. In tutto questo, Moscato è riuscito a sviluppare negli anni una completa e complessa estetica teatrale di cui questo testo, datato 1986, sembra essere già precursore.
È dai contrasti che nasce la storia e la drammaturgia di questo Bordello.
Mercificazione del sesso e della santità vanno a braccetto in un covo femminile (leggi ex casa chiusa) dove ognuna delle ex prostitute bada al proprio personale interesse con rapacità e sottile strategia. Il tutto avviene con una maniacale attenzione al dettaglio. Persino mani e piedi delle cinque donne sembrano suggerire il loro carattere: scarpe e calze ne denunciano l’attitudine, mentre le mani lasciano trasparire le tensioni e i desideri.
Mani che si strofinano, che si appoggiano, che afferrano o guariscono. Il testo viaggia – nel primo atto – sull’onda di una apparente tradizione drammaturgica, ma ad un occhio attento già denuncia, attraverso le luci, le musiche e lo stupefacente utilizzo dei macchinari scenici baroccheggianti una tendenza alla stilizzazione, all’estraniamento, alla destrutturazione. È però il secondo atto a dimostrarsi pienamente rivoluzionario: in questo Bordello le parole si sovrappongono una sull’altra, si scontrano, si mescolano, in un quadro scenico quasi immobile e fortemente simbolico.
È l’atto della morte, in cui tutti i fili tesi vengono tirati in un nodo fatale, anche grazie al continuo gioco fonico: quella alternanza italiano/napoletano (un “espediente drammaturgico” che i De Filippo hanno sviluppato a perfezione sia nel comico che nel tragico) che sfuma dal parlato più tradizionale, al canto più idealizzato, dal suono disarticolato a quello ritmicamente organizzato.
Su tutto questo, dall’alto troneggia il ricordo-feticcio di Ruccello, idealisticamente sovrapposto al personaggio della defunta proprietaria dell’ex Bordello che ha lasciato in dote alla sua preferita tutta l’organizzazione.
Così come Moscato ha ricevuto in dote su di sé il pesante fardello di traghettare quella tradizione fino a noi, oggi. Se poi il nucleo della storia può sembrare banalmente verosimile, la differenza è giocata dagli interpreti. Tutti perfettamente aderenti ad una “maschera” drammatica di cui assorbono ogni ruga, ogni difetto, ogni minino dettaglio.
Lino Musella, il giornalista, è magistralmente distaccato anche nei momenti più intensi; Ivana Maione e Cristina Donadio sono due sinistre metà di una medesima medaglia, l’una diabolicamente servile, l’altra ubertosamente rapace; Fulvia Carotenuto ha tutti i tratti caleidoscopici di quella santità che, come Santa Teresa del Bernini, appare sì in rapporti con Dio, ma financo con il demonio; e poi Imma Villa. Di lei non si può dire. Per lei parla il sorriso beffardo, l’accento sempre esattamente al posto giusto, la figura arcigna e le lunghe mani affusolate. Imma Villa è Titina, senza se e senza ma. A completare il capolavoro Sefora Russo e Lello Serao nelle scomode parti di Betti e del Cardinale.
L’opera di ideazione della mente creativa e attenta di Cerciello è portata a perfetto compimento inoltre dalle magnifiche scene di Roberto Crea, dagli straordinari costumi di Alessandro Ciammarughi, dalle inquiete musiche di Paolo Coletta e dalle luci spaesanti di Cesare Accetta. Bordello di mare con città, un capolavoro da non perdere, mai!