All’inizio della seconda guerra mondiale avvenne un fatto che i libri di storia delle scuole italiane liquidano in poche righe: tra il 29 maggio e 4 giugno 1940 il Corpo di Spedizione Britannico insieme alle truppe francesi, belghe e canadesi indietreggia fino alla spiaggia di Dunkirk.
Le truppe riescono a mettersi in salvo da un possibile sterminio tedesco grazie ad un drammatico e difficile salvataggio da una numerosa flotta di piccole imbarcazioni partite dalle coste inglesi.
Su queste poche righe il grande (perché è un grande) regista cupo e visionario Christopher Nolan (Inception, Interstellar, la psicanalitica trilogia di Batman) ha realizzato un film già destinato ad essere quantomeno nominato come miglior film (e anche in altre categorie), agli Oscar del 2018.
Il salvataggio di 330.000 soldati inglesi trasbordati dalle coste francesi di Dunkerque (il paese francese inglesizzato per il titolo, ma perché poi), a quelle inglesi poste proprio di fronte “quasi si possono vedere” diranno nel film, è da Nolan raccontato attraverso tre episodi tra terra, cielo e mare narrati in parallelo destinati ad incrociarsi e unirsi.
Il primo segue il disperato tentativo del soldatino (in quanto molto molto giovane) americano, inesperto ma pieno di speranze e di coraggio Tommy, interpretato dall’attore esordiente Fionn Whitehead, di raggiungere un’imbarcazione.
Si uniranno a lui in questo disperato e ripetuto tentativo (che andrà a buon fine) i soldati Gibson (identità rubata da un soldato francese per poter essere imbarcato insieme agli inglesi) e Alex, il più duro dei tre deciso a diventare il capetto del trio.
I due ruoli sono interpretati da Aneurin Barnard e Harry Styles (si ex One Direction, si l’autore e interprete della hit “Sign of the times”, si quello bello).
Il secondo è focalizzato sulla difesa delle imbarcazioni da parte di tre Spitfire della flotta RAF inglese impegnati a localizzare e abbattere la flotta aerea tedesca.
Dei tre aerei, uno verrà abbattuto, il secondo sarà costretto ad un drammatico ammaraggio, il terzo, pilotato da Farrier (Tom Hardy ancora con una maschera in un film di Nolan – Nolan dice che Hardy recita con gli occhi…), riuscirà fino allo stremo e alla cattura finale a difendere le navi e le imbarcazioni inglesi diretti a Dunkirk.
Il terzo è narrato attraverso le gesta del Sig. Dawson (sempre bravo Mark Rylance – Il ponte delle spie), e del figlio diciannovenne Peter (Tom Glynn-Carney).
Dawson ha una piccola imbarcazione da diporto. Parte dalla costa inglese con il figlio e l’amico di quest’ultimo George, per raggiungere Dunkirk con lo scopo di portare in salvo più militari possibili. Come lui tante piccole imbarcazioni faranno lo stesso.
Nel tragitto raccolgono in mare un marinaio inglese colpito da un UBoot tedesco (Cillan Murphy), definito solo come il soldato tremante che cercherà di ostacolare Dawson per tornare sulle coste inglesi. Sulla piccola imbarcazione salirà anche il pilota Raf salvato dall’ammaraggio e, in seguito i soldatini Alex e Tommy.
A sovraintendere le operazioni di salvataggio, rese difficili dalla bassa marea che non permette agli incrociatori di avvicinarsi alla costa così come l’assenza di moli di attracco, vi è il comandante Bolton, sempre fiducioso, interpretato dal grande Kenneth Branagh.
Ma il vero protagonista di questo film è Hans Zimmer. Nolan e Zimmer fanno coppia fissa: uno firma la regia l’altro la colonna sonora, un po’ come Leone e Morricone.
Zimmer non ha avuto difficoltà a capire cosa voleva Nolan. Non una colonna sonora, ma un vero e proprio dialogo in musica.
La colonna sonora in Dunkirk non si limita ad accompagnare le immagini, a sottolineare i momenti salienti. La Colonna sonora dialoga con i protagonisti i cui dialoghi sono scarni ed essenziali.
È certo un bel film ma un po’ sopravvalutato nei promo. Non si rimane delusi, ma non si grida neppure al miracolo o al capolavoro. Di certo è uno dei migliori dell’anno. Almeno l’oscar per la migliore colonna sonora lo merita.