Il Festival di Spoleto è una conferma di eccellenza in tutti gli ambiti artistici. La programmazione in prosa brilla però, in questa occasione, di una luce rara fatta di ricerca, qualità, partecipazione e classe. Non che queste caratteristiche siano introvabili in altri festival o in altre programmazioni artistiche, ma qui il luogo stesso e la complementarietà dell’evento artistico danno agli spettatori l’impressione di vivere un’esperienza unica.
La nostra maratona inizia la mattina nella chiesa di S. Simone: un ambiente magnifico e spogliato di ogni orpello sacro, come una enorme cattedrale laica, ospita una delle opere più note di Annibale Ruccello, Le cinque rose di Jennifer.
Geppy Gleijeses che interpreta Jennifer e ne cura la regia divide il palco con Lorenzo Gleijeses dando vita ad un capolavoro di uguaglianze e difformità fra i due, una danza macabra che si chiude con un omicidio-suicidio.
Il testo di Ruccello, frutto della ricca tradizione napoletana, ma accresciuto dall’esperienza diretta del mondo omosessuale (distante dai due grandi maestri: Viviani e de Filippo), è ricco di doppiezza, in termini linguistici – italiano e dialetto -, in termini sonori – voce naturale e voce registrata -, e soprattutto in termini sessuali: il protagonista è un travestito, figura di uomo e donna nello stesso corpo, che vive in un quartiere di travestiti e dialoga, a volte, con un altro travestito.
Fin dall’inizio non è chiaro se ci si trovi in una dimensione reale o metafisica.
I gesti e la voce di Jennifer fanno credere che sia realtà, a volte quasi comicità, macchietta, imitazione, ma è il personaggio di Anna a gettare una luce ambigua su tutta la vicenda, con il suo volto incisivo, il fisico nervoso, la spigolosità vocale e gestuale. Sono anima e corpo di uno stesso individuo? Mente e cuore? Uomo che si fa donna e donna che si fa uomo? Sono tutte domande che i due lasciano agli osservatori, mentre il tempo è scandito dalla radio, dal suono del telefono, dalle incursioni di quotidianità. Accade così che un comune incontro, in apparenza, fra due identità diviene alla fine uno scontro all’interno della stessa identità, quella di Jennifer.
Nell’attesa spasmodica di un amore inesistente, cui solo uno squillo inaspettato può dare voce, la routine si rompe grazie a un colpo di pistola che zittisce, in un istante, ogni disperazione.
In questo clima cupo e claustrofobico, brillano i due interpreti, l’uno padrone della scena grazie alla superba maestria del palco, l’altro quasi vittima del demone interpretato in maniera tanto sublime, e lasciano lo spettatore grato e, allo stesso tempo, pieno di interrogativi.