Al Teatro Quirino fino al 2 aprile è in scena “Erano tutti miei figli”, il primo successo teatrale del drammaturgo americano Arthur Miller, acclamato dal pubblico nel 1947.
Un dramma teatrale riportato sul palco romano, con sapiente forza scenica, dalla regia di Giuseppe Dipasquale.
Miller, in questo testo, ha un atteggiamento dissacrante nei confronti di un’America alto-borghese che si è arricchita, nel secondo dopoguerra, raggiungendo i massimi vertici economici, sulla scia di una cinica logica del profitto a discapito della correttezza morale.
L’autore mostra tutta la fragilità dell’essere umano che nel raggiungere un solido benessere economico, messo in crisi dai traumi della guerra, opera una pericolosa inversione di valori.
L’elegante giardino dei Keller fa da scena a tutto lo spettacolo.
Qui si riuniscono e si incontrano i benestanti proprietari con i loro vicini e amici. È pervaso da un’apparente tranquillità, abilmente salvaguardata dall’autorevole pater familias, Joe Keller (Mariano Rigillo) – ricco industriale che al termine del conflitto ha saputo mantenere in vita la sua azienda, riconvertendo la produzione bellica in quella di beni di largo consumo.
Ha costruito così una solida fortuna per la sua famiglia e l’amato figlio, al prezzo di segreti impronunciabili e dolorosi, che una serie di eventi faranno insorgere, distruggendo il pacifico equilibrio familiare.
Durante la guerra mondiale la fabbrica di Joe produceva pezzi per l’aviazione americana. Per non essere tagliati fuori dal mercato, Keller e il suo socio consegnano una partita di testate difettose che provocherà la morte di 21 piloti.
Entrambi vengono arrestati, ma Keller riesce ad addossare l’intera responsabilità sul suo socio, scagionandosi completamente dall’accusa.
Torna a casa in un clima familiare d’attesa di un figlio disperso in guerra, il cui corpo non è stato ancora mai ritrovato.
Dopo tre anni dall’accaduto l’arrivo della figlia del socio tradito scombussola gli animi e gli equilibri difficilmente raggiunti, accendendo il meccanismo del dramma.
Un dramma costruito sul modello della tragedia classica
Un dramma costruito sul modello della tragedia classica che ha tanto da dire anche ai giorni nostri. Rappresenta, infatti, la penosa attualità di un agire cinico e spregiudicato, che guida i paesi nel vortice di un capitalismo malato e corrotto.
Tra verità e menzogne, purezza e corruzione si scioglie la trama di quest’opera, che rivela responsabilità negate, la fragilità e meschinità dell’uomo, il suo dolore e la sua forza.
Quella forza racchiusa nell’urlo silenzioso di una madre, che incoraggia a vivere e a dimenticare un tragico passato.