L’Etranger di Camus visto da Gifuni : il grado zero dell’umano.

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L’Etranger: il grado zero dell’umano

È cosi interessante sentir parlare di sé persino dal banco degli imputati

la frase di l’Etranger di Albert Camus che più mi ha colpito durante l’orazione di Fabrizio Gifuni al Teatro Vascello di Roma.

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Il personaggio Meursault dell’opera di Camus viene fuori in questa affermazione che, al culmine di un processo intentato contro di lui per omicidio, fa emergere la lucidità distaccata, al limite dell’anomia, del protagonista. Fabrizio Gifuni è al Vascello con la serie “L’autore e il suo doppio” in cui si immedesimerà dal 2 al 12 marzo in diversi eroi, semi – eroi e antieroi letterari.

Non so dire in quale di queste categorie rientri Meursault ma so per certo che Fabrizio ha trasformato la sala in una folla adorante esplodendo le loro emozioni, anzi le nostre.

Strana e assurda cosa appassionarsi ad un personaggio che sembra privo di verve e di passioni ma la maestria da teatrante di Gifuni sta nell’accompagnare sincronicamente gli umori della platea nel crescendo di caratterizzazione del personaggio di Camus, un uomo di origine francese che vive in una quasi lunare Algeri, il cui paesaggio rarefatto dal troppo caldo accecante viene descritto con dovizia di particolari, messi lì sul palco quasi a guisa di presagi nefasti, nelle sole parole possenti di Fabrizio, il cui tono è capace di evocare l’immaginaria scenografia.

Meursault cresce nelle parole di Fabrizio: l’operazione che l’eccellente attore fa è portare al grado zero di umanità Meursault quasi un’ombra di se stesso, intrappolata nei primi vagiti di umanità.

Ma Meursault è una vittima o un carnefice?

È freddo e privo di emozioni ma non calcolatore tanto da commettere un assurdo omicidio di cui sembra quasi non rendersi conto, nella totale assenza di senso di colpa.

Eppure la sua distanza dal concetto convenzionale di umano ed emotivo lo rende più umano nella sua debolezza goffa e malcelata. E alla fine sembra che si tratti quasi di un esperimento letterario piuttosto che di un personaggio narrativo, per portare a riflettere la platea sulle tematiche esistenziali.

Se l’imputato è colpevole di omicidio, cos’è la colpevolezza per gli esseri umani?

Un concetto ipocrita che si monta e si smonta con una semplice tesi di tribunale o ha a che vedere con una morale più profonda e se fosse quest’ultimo davvero possiamo pensare che la nostra morale o quella che viene da Dio possa rendersi a sua volta colpevole di condannare a morte un uomo, colpevole?

Meursault spaventa con la sua apparente moralità la Corte e la Giuria e viene condannato in virtù di questa sua alterità dall’umano come è socialmente e moralmente accettato nelle omelie ecclesiali.

Meursault è colpevole non c’è dubbio e quello scarso o nullo valore che attribuisce alla vita persino alla sua stessa vita che sta per essere falciata dalla ghigliottina (perverso simbolo di libertà d’Oltralpe) è in realtà coerenza e aderenza ad un’esistenza che spesso ha ben poco di scritto e di preordinato.

Meursault è colpevole ma la sua invettiva finale contro tutto ciò che viene definito morale ed umano mette sul banco degli imputati una giuria che dichiara colpevole un uomo per non aveva pianto al funerale della madre, perché non aveva sbandierato il suo lutto, e un giudice che era interessato solo a sapere perché aveva sparato il secondo colpo di rivoltella, subito dopo il primo come se la balistica o la cronologia dei colpi fosse più importante di ciò che porta ad uccidere un uomo.

C’è tanto in questo Camus della morbosità mediatica odierna con cui si cerca la propria catarsi nei particolari di un fatto di cronaca.

C’è tanto in Meursault di Fabrizio Gifuni che rende giustizia da oscar ad un Camus in aperta denuncia, urlata in questa opera, delle leggi che legittimano la pena di morte.

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