Il nuovo e provocatorio spettacolo di Emma Dante – in cui l’uomo-attore è messo completamente a nudo ed esposto (fisicamente e psicologicamente) alla fatica, alla sorpresa, al bisogno di aiuto – nasce da un “atto di rinuncia” della regista.
E da un disagio dello sguardo sulla nudità, che nello spettatore in realtà man mano si annulla, per essere catturato soprattutto dall’atletica espressività del movimento dei preparatissimi performer.
In scena al Piccolo Teatro di Milano fino al 19 marzo.
14 corpi – 14 attori, 7 maschi e 7 femmine – nudi e primitivi sul palco, proprio come bestie.
Bestie di scena. Corpi affannati, in perenne movimento. Sudati e accaldati sin da subito, per meglio esprimere la condizione di fatica dell’umanità, in uno spettacolo su cui, in modo anticonvenzionale, il sipario non si alza: gli attori, infatti, sono già lì sul palco ad aspettarti, nella mezz’ora precedente l’inizio, mentre eseguono il loro training fisico preparatorio davanti al pubblico che prende posto.
Vestiti. Per poi spogliarsi gradualmente e completamente (pur coprendo all’inizio seno e genitali) deponendo gli abiti ai piedi del palco, in quello che, negli intenti, vuole essere una sorta di atto di liberazione.
Con la volontà di esprimere il disagio dello sguardo, la vulnerabilità dell’uomo nel processo di scoperta del mondo e di se stesso; ma anche la vulnerabilità dell’attore, che si mette a nudo sera dopo sera su una scena piena di insidie.
Se dello spettacolo della regista e drammaturga siciliana Emma Dante – in prima assoluta al Piccolo Teatro Strehler di Milano e pensato proprio per il suo spazio scenico – a far parlare, a provocare (e potenzialmente a “imbarazzare” lo spettatore, seppur preparato) è proprio l’estrema nudità , questa in realtà finisce per passare man mano in secondo piano allo sguardo, rompendo con la sua integralità ogni legame con l’eros e il richiamo sessuale.
A manifestarsi e a colpire è invece soprattutto l’espressività dei corpi in quasi perenne movimento e l’altissima preparazione atletica degli attori, oltre alle capacità “danzatorie” di alcuni di essi.
Dando forma, nei rari momenti in cui non è il disordine a imperare sulla scena, a un insieme di carni umane armonico e anche poetico.
Anche perché una storia non c’è, così come non c’è una trama, né scene, né dialoghi a far da filo conduttore e a guidare la lettura dello spettatore.
Come racconta l’autrice stessa nelle note di regia, Bestie di scena viene, in sostanza, da una rinuncia: “ha assunto il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato al tema che avrei voluto trattare: il lavoro dell’attore, la sua fatica, la sua necessità, il suo abbandono totale fino alla perdita della vergogna e alla fine mi sono ritrovata di fronte a una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili, un gruppo di ‘imbecilli’ che, come gesto estremo, consegnano agli spettatori i loro vestiti sudati, rinunciando a tutto.
Da questa rinuncia è cominciato tutto, si è creata una strana atmosfera che non ci ha più lasciati e lo spettacolo si è generato da solo”.
E anche il percorso per arrivare alla nudità è stato il frutto di un lungo lavoro con e sull’attore, confessa la Dante, arrivando a provare essa stessa quel disagio dello sguardo che vuole trasferire allo spettatore:
Non è facile spogliarsi, neppure per gli attori, starsene completamente nudi davanti a gente seduta che prova suoi sentimenti ed emozioni. Ognuno ha deciso il suo momento per arrivare a rendere naturale, inevitabile, ovvia la nudità e la sua necessità.
Finché dopo essersi guardati reciprocamente – attori e regista – e ottenuto ciò che quest’ultima voleva, lei ha
cominciato a sentire la pena dello sguardo, provando uno strano senso di colpa di fronte alla scena nuda e ai corpi nudi. E ho capito che il peccato stava nel mio sguardo, nel mio fissare quei corpi, quelle facce, che faceva del male soprattutto a me.
Nelle intenzioni dell’autrice c’è quella di mostrare una comunità di esseri primitivi, spaesati, “in fuga”, ma a manifestarsi è forse più una comunità che reagisce – in modo spontaneo, destrutturato, primordiale – a cosa irrompe sulla scena, dalle quinte: sorprendendosi, spaventandosi, divertendosi in maniera grottesca, tra balli, zuffe e combattimenti, tentativi di difesa di fronte alle continue insidie e tentazioni che arrivano sul palcoscenico stesso, proprio come nel mondo terreno.
E dal quale, come in una gabbia, le anime-bestie non riescono più ad uscire.
Anche se quest’ultimo concetto finisce all’ultimo per restare un po’ sullo sfondo e può sfuggire agli occhi dello spettatore meno attento.
Evidente il richiamo (e lo spunto per la regista) alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, che fanno ingresso nel mondo comune, accorgendosi e vergognandosi della loro nudità: proprio così, sul palco, le anime-bestie all’inizio provano vergogna, si ripiegano su se stesse e si coprono a vicenda, manifestando anche la necessità del sostegno reciproco.
Esporranno la loro nudità man mano in modo più aperto, per forza di cose, durante le varie prove che affronteranno.
Finché non sarà del tutto esposta alla fine, con gli attori in fila davanti allo spettatore, senza più tentare di coprire neanche le parti intime: è questo il momento in cui la comunità di bestie resta immobile di fronte all’ultimo “ordine” che arriverà sul palco dall’esterno.
Bestie di scena – opera sicuramente interessante e fuori dal comune, ma in cui la provocazione che c’è nel nudo può non essere colta fino in fondo nei temi – è una coproduzione tra Piccolo Teatro, Compagnia sud costa occidentale (di cui fanno parte i preparatissimi attori), Teatro Biondo di Palermo e Festival di Avignone.
Lo spettacolo – consigliato a un pubblico maggiore di 16 anni – è in scena fino al 19 marzo. I posti vanno dai 26 ai 33 euro (ma per sabato 11 marzo si trovano promo a 17 euro); gli orari variano a seconda del giorni, con il suggerimento di di arrivare mezz’ora prima dell’orario ufficiale.
Per info, per il cast completo e prenotazioni, www.piccoloteatro.org.