Chiusa in una gabbia, con centinaia di fogli sparsi sul pavimento e una macchina da scrivere pronta alla bisogna: eccola, la Scrittrice.
Rigorosamente con l’iniziale maiuscola, perché scrivere è tormento ed estasi, è malinconia e bellezza, è allontanarsi dalla realtà e poi rituffarcisi per lenirne la nostalgia. Noi pubblico la scrutiamo struggersi, mentre la sua creazione si dipana, tenebrosa e cupa, e la sua vita si aggroviglia in un matrimonio forse di convenienza, che però non porta la tranquillità sperata, ed è quindi destinato a far la fine dei suoi incubi.
La storia che Debora Virello, con energia e passione incontestabili, porta in scena è il tormento che, in apparenza, affligge ogni grande scrittore.
Ed è un omaggio ai grandi temi della letteratura gotica, fatta di rovine medievali, paesaggi di brughiera intensa, manieri tenebrosi, e alle pagine dei suoi grandi interpreti, soprattutto Stoker, Poe e Lovecraft.
Ma se il momento della creazione, sottolineato dalla recitazione al microfono, ha una sua ragion d’essere, quello della “vita vera” sembra artificioso e polveroso, e non riesce a uscire dagli schemi, un po’ desueti, che accomunano la scrittura alla follia, o quantomeno a una forma di “espansione psichica”, come forse l’avrebbe potuta denominare uno come Lovecraft, che di depressione se ne intendeva.
Formalmente, la scrittura è ineccepibile; e se si intende lo spettacolo solo come un’appassionata lode a un genere di cui si sono nutriti schiere di autori (e, probabilmente, anche l’interprete, che ne è pure autrice e co-regista), allora c’è poco da dire.
Ma se si scava sotto la coltre dell’impeto, mi sembra che la materia sia troppo fredda, e abbia lo stesso fascino (e purtroppo la stessa consistenza) di un fiocco di neve.
Nel dare espressione alle eroine combattute dei romanzi gotici, intento esplicito dell’autrice, si scende (e forse è impossibile fare altrimenti) in clichè ritriti, non ultimo il fatto che la follia sia in fin dei conti un po’ donna.
Forse maggiore distanza avrebbe portato un migliore risultato. Forse il troppo amore fa diventare miopi.
E alla fine ci si affascina per una recitazione sincera, piena di pathos e di scatti nervosi, ma ce la si dimentica subito dopo.
La regia è semplice e si basa tutta sulla forza espressiva della Virello, che gioca con i pochi oggetti all’interno di una gabbia (metafora efficace, anche se piuttosto greve), offrendosi voyeuristicamente agli spettatori che la circondano.
Molto interessanti le luci, che sottolineano il pathos dei diversi momenti con colori cangianti e lucidi, e le musiche, espressive e mai invadenti.
DAME OSCURE – UNA STORIA GOTICA
Di e con Debora Virello – Regi: Pietro De Pascalis e Debora Virello – Scene e costumi: Dino Serra – Primo spettatore: Luca Chieregato – Disegno luci: Marco Meola
Al Teatro Litta, Sala La Cavallerizza, dal 31 gennaio al 5 febbraio