Benedette foto! La fotografia di Claudio Abate testimone del teatro di Carmelo Bene

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Un giorno si viene al mondo. L’inizio è uguale per tutti.

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“Andiamoci piano con questa storia che un bel giorno si nasce. Non è così scontato. In quegli anni venire al mondo era come scampare ad Auschwitz. Scarseggiava la penicillina. La gestante era una signora a rischio, destinata quasi sempre a perire. Lei o il bambino. Qualche volta entrambi. […] Il fatto di essere nati costituiva di per sé un’impresa. Più che nato, sono stato abortito. Ecco, io mi considero a tutti gli effetti un aborto vivente.”

Queste righe costituiscono l’incipit dell’autobiografia che Carmelo Bene scrisse, coadiuvato da Giancarlo Dotto, nel 1998. Aveva 61 anni.

Carmelo Bene giunse a Roma nel 1957 dove cominciò un’esistenza dissoluta, fatta di alcol e bravate. La vita notturna romana dell’epoca si svolgeva in pochi locali, bettole mal frequentate dove nottambuli, artisti e personaggi stravaganti si incontravano. Una piccola tribù di facce più o meno note che vagava nel buio dei vicoli della città eterna. In uno di questi locali, il Notegen per la precisione, nel 1959, Carmelo Bene incontrò Claudio Abate. Entrambi giovanissimi, entrambi già dallo spiccato talento: Abate fotografo d’arte con il suo studio situato in via Margutta, Bene l’enfant prodige del palcoscenico italiano.
Il sodalizio artistico cominciò in un piccolo teatro laboratorio collocato in via Roma Libera 23. Bene e la sua scapestrata compagnia di attori portò in scena un copione ispirato dalla lettura dell’Ulisse di Joyce: Cristo 63. Da questo momento uno scandalo dopo l’altro accompagnerà la vita artistica del genio salentino.
Il teatro laboratorio era frequentato da grandi nomi dell’intellighenzia nazionale: Pasolini, Flaiano, Moravia,  divennero appassionati estimatori del teatro beniano. La rappresentazione di Cristo 63 irruppe con tutto il suo fragore nelle cronache quotidiane di Roma. Durante la performance l’attore e artista Alberto Greco, nei panni dell’apostolo Giovanni, alzò la tunica ed iniziò ad orinare sul pubblico colpendo l’ambasciatore argentino e la sua consorte. Le luci si spensero, lo spettacolo venne interrotto e iniziò la bagarre. Quelle “Benedette foto” di Abate scagionarono Bene dall’accusa di oltraggio e atti osceni in luogo pubblico, mentre Greco, costretto a lasciare l’Italia clandestinamente, si rifugiò in territorio spagnolo.
Abate divenne l’unico testimone delle performance allestite durante gli spettacoli creati da Bene e dalla sua compagnia di attori: Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, Franco Citti, Alfiero Vincenti, Manlio Nevastri furono alcuni dei protagonisti degli scatti del fotografo.

Le immagini in mostra ripercorrono i primi dieci anni di attività del maestro salentino: Pinocchio, Faust o Margherita, Salomè da e di Oscar Wilde, il Rosa e il nero e ancora il capolavoro indiscusso Nostra Signora dei Turchi, Vita di una rosa rossa, Il don Chisciotte.
Bene è il deus ex machina dei suoi spettacoli, nulla è lasciato al caso. La regia, le scenografie, il testo, tutto è stabilito secondo le sue modalità, secondo quel metodo che vede nella scrittura scenica l’unica e sola forma possibile di teatro. L’opera originale è il punto di partenza di una sperimentazione ampia e complessa; secondo Bene, il grande teatro è un non luogo al “riparo di qualsivoglia storia” che lo trasforma in qualcosa di “intestimoniabile”. Riprendendo il pensiero di Antonin Artaud, l’artista critica aspramente la pratica di imparare un testo a memoria affermando che il suo progetto è di ripugnare un teatro del già detto. La scrittura di scena è l’unico metodo di ricerca per un attore che diviene il soggetto assoluto dell’interpretazione.
I 120 scatti di Abate segnano un percorso inedito allo spettatore, costituiscono un’importante testimonianza dell’impresa beniana, sono lo strumento per sondare la genialità di un uomo scevro da ogni senso comune che ha sconvolto e decomposto il passato.
C.B., abbreviazione di Deleuziana memoria, porta sul palco l’osceno, i suoi testi sono corpi desacralizzati, letteralmente distrutti, la sua genialità risiede nell’oblio dell’azione, nella sacralità del vano e nel rifiuto di essere storia.

Scrive Sade :” Mi ostino a vivere perché anche da morto io continui a essere la causa di un disordine qualsiasi”. Bene rappresenta ancora oggi, a dieci anni dalla sua morte, questo disordine, colui che non produsse capolavori ma fu egli stesso un capolavoro.

Informazioni tecniche

Palazzo delle esposizioni via nazionale 194 00184 roma
Periodo: dal 4 dicembre al 3 febbraio 2013
Mostra a cura di Daniela Lancioni con Francesca Rachele Oppedisano

Promossa da Roma Capitale assessorato alle Politiche culturali e centro storico
Azienda Speciale Palaexpo e Fondazione Roma Arte Musei

Orari: domenica, martedì, e giovedì dalle 10:00 alle 20:00
Venerdì e sabato dalle 10:00 alle 22:30
Lunedì chiuso
Info: http://www.palazzoesposizioni.it

Costo del biglietto: intero € 12,50; ridotto € 10,00.

 

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