Arriva finalmente a Bologna la Mostra “David Bowie is” partita da Londra nel 2013, che dopo essere stata a Chicago, San Paolo, Toronto, Parigi, Berlino, Melbourne e Groningen, sarà aperta al pubblico dal 14 luglio al 13 novembre 2016 al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Istituzione Bologna Musei.
È la prima inaugurata dopo la morte dell’Artista, l’ultima in Europa prima della chiusura definitiva, e sembra sia anche la più bella perché l’architettura del Mambo, ex Forno del pane del 1915, recuperato e riadattato alla nuova destinazione d’uso con un progetto realizzato nel 2007, si presta bene al suo allestimento (la bravura dei tecnici e delle maestranze italiane ha fatto il resto).
I curatori Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Victoria & Albert Museum hanno selezionato più di 300 oggetti dall’archivio personale del musicista che ne conteneva circa 75.000.
La mostra non è né celebrativa né retrospettiva, è stata realizzata in collaborazione con lo stesso Bowie che ha accolto con piacere l’idea mentre aveva sempre rifiutato proposte, anche a diversi zeri, per una sua biografia.
Non è stato facile fare una sintesi, seppur riuscita in maniera egregia, della vita e della carriera di questo uomo eclettico; non lo si può definire solo un cantante, è sempre stato un artista poliedrico e caleidoscopico interessato sin da giovanissimo a ciò che non conosceva ed a tutte le forme d’arte ( ha anche avuto la fortuna di avere come insegnante di educazione artistica il padre di Kenneth Frampton, autore del libro “Storia dell’architettura moderna” sul quale tutti gli architetti hanno studiato).
La mostra, è suddivisa in tre principali sezioni tematiche: la prima introduce il pubblico ai primi anni di vita e della carriera di David Bowie nella Londra del 1960, risalendo man mano fino al successo planetario del singolo “Space Oddity” nel 1966; la seconda accompagna il visitatore all’interno del processo creativo dell’Artista e rivela le differenti fonti d’ispirazione che hanno dato forma alla sua musica e allo stile delle sue performance; la terza, regala emozioni “live” attraverso installazioni audio e video, riproduzioni di concerti e l’esposizione di costumi di scena e materiali originali appartenuti a Bowie.
Più che un semplice percorso questa mostra è “un’esperienza” nella vita dell’Artista che chiunque può apprezzare anche non conoscendolo molto: il visitatore viene dotato di una speciale audio-guida che permette, man mano che ci si muove all’interno dello spazio allestito, di ascoltare non solo testimonianze dalla voce dello stesso artista e dai suoi diversi collaboratori tra cui il leggendario stilista giapponese Kansai Yamamoto, il front-man dei Pulp Jarvis Cocker, il fotografo Terry O’Neill ed altri, ma anche canzoni, tante e bellissime.
Quello che forse colpisce di più, questa cosa viene fuori anche nel docu-film realizzato alla fine della mostra londinese nel 2013 e andato in onda nei cinema italiani dall’11 al 13 Luglio, è vedere dei semplici fogli sui quali con la calligrafia di una ragazzina di 16 anni Bowie ha scritto i testi delle sue canzoni con pochissime correzioni. Ci fa sentire più vicino questo personaggio ambiguo a metà tra uomo e donna, tra umano ed alieno, che riusciva a stupire sempre con qualcosa di nuovo ed originale, che ha lanciato le mode sia musicali che stilistiche, che ha sperimentato qualsiasi cosa dalle forme d’arte alle esperienze di vita, ai travestimenti.
Non gli piaceva essere se stesso, credeva fosse più facile essere qualcun altro. Da qui l’invenzione dei suoi alter ego: Ziggy Stardust ispirato ai protagonisti di “Odissea nello spazio”, Halloween Jack ed il più sobrio The Thin White Duke (noto in Italia come il Duca Bianco).
La mostra può avere diversi livelli di lettura: da uno di mera conoscenza di un personaggio stravagante, ad uno prettamente musicale (c’è la Old Wave, c’è la New Wave, il glam rock, la musica elettronica e tanto altro), da vari temi di ricerca artistica ( particolarissimi i suoi disegni per i costumi dei gruppi nei quali suonava, i bozzetti degli spettacoli, dei video e delle copertine dei dischi) , dalla partecipazione, quasi sempre in forma attiva a diversi film, a quello più glamour degli abiti di scena.
Una cosa che colpisce molto guardando i suoi costumi, oltre alla particolare magrezza, è la cura di ogni minimo dettaglio, nulla era mai lasciato al caso: l’abbigliamento indossato nel video di “Life On Mars?” che appare etereo perché simula una luce non terrena ha invece colori accesi, la cravatta dorata sulla camicia a righe ed il vestito in pendant con uno dei suoi particolarissimi occhi (diversi tra loro a causa dell’incidente in seguito ad un litigio a quindici anni per una ragazzina con l’amico George Underwood, col quale rimase sempre in contatto e che disegnò anche le copertine di alcuni suoi dischi), le scarpe come sempre belle e particolari, nulla era lasciato al caso.
La parte più emozionante della mostra è il salone finale: lo sguardo viene catturato da una serie di proiezioni, foto ed abiti che si alternano come in un incredibile spettacolo senza soluzione di continuità, la musica, diffusa con un particolare sistema a tre dimensioni, inonda lo spazio e tutti i sensi vengono coinvolti in un’ esperienza inebriante: non si vorrebbe più uscire.
Questa parte della mostra è stata mirabilmente adattata ai locali del Museo, perché più alto dei sette precedenti, ed i progettisti hanno potuto dare vita ad una sorta di alveare formato da nicchie quadrate coperte da sottilissime tele che ora fungono da schermo alla proiezione di video dei concerti o di fotografie, ora si illuminano dall’interno come scrigni mostrando i preziosi outfit, che vengono così visti in parallelo nei video e dal vivo.
La mostra Bolognese, rispetto alle precedenti, si è arricchita di performance collaterali: dalla proiezione fruibile gratuitamente in città di film che vedono Bowie protagonista, al raduno dei fan (gli stessi che alla sua morte hanno fatto una petizione on line per riportarlo in vita!), a concerti, ad attività che si svolgono all’interno del museo: “Inspiration” che permetterà di indossare vestiti, abiti e parrucche ispirate appunto a quelle dell’Artista e farsi fotografare, all’ “Experience Bowie” spazio per rielaborare in maniera creativa e multimediale le sensazioni ricevute dalla mostra, al “Baby Bowie” parking per bambini che consentirà ai più piccoli di fare esperienza del poliedrico cantante sotto forma di gioco.
Il titolo della Mostra “David Bowie is” è volutamente sospeso, lungo il percorso in ogni sala la frase viene completa, ma alla fine ognuno può, anzi deve, la volontà degli organizzatori è proprio questa, sentirsi libero di scriverci quello che ritiene più opportuno secondo la propria esperienza.
Alla luce delle cose viste, lette e ascoltate io mi sento di dire che per il suo essere miniera di parole, personaggi, generi (con l’accezione che si vuole dare al termine), “David Bowie is” everything and more, and more, and more.