Footprints, l’ultimo CD di Francesco Bertone, è un esempio di semplicità che, ascoltandolo, dona veramente un senso di pace e di evasione dal mondo che viviamo. Un disco fatto di energia jazz e di incontri, in cui Fabio Gorlier – pianoforte – Paolo Franciscone – batteria – Nitza Rizo – voce – e lo stesso Bertone – basso o contrabbasso – conferiscono all’album caratteristiche acustiche e soavi che fanno viaggiare nell’universo, per vivere autenticità e qualità, creando
“un suono personale attraverso l’ideazione e la realizzazione di brani che lasciassero il maggior spazio possibile a tutti gli strumentisti”.
Pubblicato da Videoradio Edizioni Musicali è in vendita su tutti gli Store digitali. 13 brani affatto pretenziosi, ma all’insegna di una semplicità che avvalora il pensiero di Bertone:
Ho cercato di fare musica, a volte furibonda, a volte scarna e cruda. È come se avessimo fatto un percorso a piedi, affrontando insieme le difficoltà senza aiuti esterni, a mani nude, seguendo le impronte di chi, prima di noi, ha fatto lo stesso cammino.
Da qui footprints, huellas, impronte. Perché nel disco convergono varie sonorità. Si viaggia tra gli Stati Uniti e Cuba, alla ricerca della musica che l’autore preferisce, con influenze africane. L’idea in sé, infatti, è quella di lasciare impronte, anche non cancellabili, affinché farsi seguire e farsi trovare. Di conseguenza, l’immagine coordinata, è stata pensata proprio in tal senso: evidenziare l’ossessione moderna delle telecamere, passi che lasciamo in ogni dove, a loro stessi.
Francesco Bertone, classe ’64, diplomato in contrabbasso nel ’91, contemporaneamente studia il basso elettrico visto il suo interesse per tutti i generi musicali. Cofondatore del gruppo Loscomobile – 1984 – che produce concerti e due dischi; l’apertura del concerto di Manu Chao (Cuneo 2012), Modena City Ramblers (Moncalieri 2014) e PFM (Cuneo 2015) sono degli esempi.
Contrabbassista nel gruppo del cantautore Gian Maria Testa – dall’89 al ’95 – partecipa alla realizzazione del suo primo cd Montgolfieres per Label Bleu, etichetta francese. Collabora con l’Orchestra di Savona – sinfonica, lirica, da camera – dal ’91 al ’94; partecipa all’incisione di opere e recitals.
Dal 1992 insegna basso elettrico e contrabbasso; organizza ensemble di studenti, crea progetti live didattici, concerti a tema; scrive spettacoli teatrali a scopo divulgativo: Il Rock’n’Roll ha cento anni? o Jazzando s’impara. Nel 2006 pubblica il suo primo cd solista Aritmiaritmetica con Videoradio, di cui tre brani sono entrati nella compilation RaiTrade Fusion, jazz, rock e groove.
Numerose le sue collaborazioni a livello musicale; è co-autore, con M.T.Milano e R.Beccaria, del manuale Musica, Maestra! – ed. Sonda di Casale Monferrato, 2013 – presentato al Salone del Libro nello stesso anno. Tuttora svolge attività di strumentista, compositore e autore presso studi di registrazione.
Di seguito l’intervista
Impronte, perché?
L’idea è questa: lasciamo un sacco di impronte “digitali”, filmati a nostra insaputa da telecamere di sorveglianza, facciamo post e tweet che invecchiano in mezz’ora. Allora preferisco lasciare impronte incancellabili e consapevoli, per farmi seguire. Cosa meglio di un disco che si apre con Footprints (impronte in inglese) e si chiude con Huellas (impronte in spagnolo).
Un giro del mondo in 13 brani?
Un po’ è vero, ma è solo un piccolo tour tra Stati Uniti e Cuba alla ricerca della musica che preferisco, quella con radici africane. Ho avuto la preziosa collaborazione di Nitza Rizo, cantante cubana che ha scritto i testi di cinque brevi duetti basso e voce.
Diverse sonorità in Footprints: stili musicali celebri rielaborati con uno stile personale. Desiderio di evasione?
Puoi viaggiare con la Musica senza uscire dalla stanza, puoi conoscere un aspetto della Cultura di un paese senza esserci mai andato e in fondo puoi capire qualcosa di un popolo. Quando non capisci una lingua straniera, ascoltandola ne percepisci solo il suono musicale con i suoi ritmi e i suoi accenti e in quel momento capisci alcune cose di quella gente.
La musica oggi giorno. Come si sta sviluppando?
C’è un sacco di musica meravigliosa, basta volerla cercare. Il mondo è grande, ci dà una varietà musicale incredibile. Ci sono radio, libri, riviste, trasmissioni televisive e naturalmente dischi che ce ne parlano, oggi con le Web Radio puoi ascoltare senza difficoltà le trasmissioni più lontane. La tendenza è sempre la stessa: ricercare nuovi connubi tra gli stili. Succede da tempo, c’era il Punk e c’era il Reggae poi ci sono stati i Police che li hanno fusi in uno stile inedito.
Quali i canali migliori per emergere e non cadere nell’ordinario dei talent?
Credo ci sia un equivoco sui Talent: sono il modo, l’unico rimasto, per far emergere artisti risparmiando sulla pubblicità. Questo per i cantanti, chi fa musica strumentale in Italia ha storicamente un pubblico minore, è nella nostra tradizione; però ci sono molti festival e un discreto circuito di appassionati da raggiungere attraverso la pubblicità tradizionale o i social, il web in generale e il buon vecchio passaparola.
Che cosa è il jazz per lei, che rappresenta?
Il ‘lato jazz’ della mia musica, al di là degli accordi e del ritmo, sta nell’assumermi dei rischi, ho convocato i musicisti direttamente in studio, scrivendo per loro parti che li lasciavano liberi, “dovevamo” capirci a tutti i costi. Ho scommesso su di loro, ma “mi piace vincere facile” perché Fabio Gorlier al pianoforte e Paolo Franciscone alla batteria sono due maestri.
Quale scelta ha determinato questo percorso?
Ogni disco ti fotografa per quello che sei nel momento in cui lo fai. Io ora ho bisogno di quello che sentite in Footprints: brani semplici, voce nuda, suoni di strumenti acustici, suonati a volte con violenza e a volte con dolcezza ma sempre con urgenza. Un disco “svuota-testa” in un periodo storico dove, secondo me, facciamo troppe cose, tutte insieme, non tutte vengono bene. Un ritorno ad una vita più semplice sarà inevitabile.
Tra le sue innumerevoli collaborazioni anche quella con Testa. Un ricordo?
Di Testa bisognerà lodare per sempre l’aver messo al primo posto questa voglia di semplicità. Da non confondere con facilità, il suo arrivare a canzoni che suonavano semplici ed inevitabili era l’eliminazione sistematica del superfluo. Faceva dolorose revisioni delle sue canzoni togliendo tutto quello che dopo una prima stesura non era essenziale.
Perché alcuni talenti musicali, a volte, non sono riconosciuti per le loro qualità?
Se uno sente di avere qualcosa da dire deve farsi sentire a tutti i costi e trovare la strada per far conoscere la propria Arte, qualunque essa sia.
Nessuno verrà a bussare, tanto meno oggi che la crisi economica fa retrocedere a secondaria o terziaria la necessità di Arte agli occhi dei cittadini e dei governanti. Sono sicuro che sia sbagliato pensarla così, l’Arte è necessaria.
Professionalità o mediocrità? Specchio del nostro Paese?
In Italia, grazie alla nostra tradizione musicale immensa, sembra che l’unica seria sia quella classica e naturalmente lo è; in altri paesi però c’è ancora un pubblico curioso di tutta la Musica, questo ‘popolo’ qui sta un po’ sparendo. Se sparisce il pubblico, che seleziona con le sue scelte l’offerta, non potremo più parlare di professionalità.
Auspici futuri?
Ora sono totalmente preso dalla promozione di Footprints, cercando concerti di presentazione dal vivo di cui darò conto su Facebook e sul mio sito www.francescobertone.it
Desiderio per un mondo migliore?
Certo, più semplice, come si diceva prima. Eliminando le complicazioni in cui si incastra spesso la nostra vita avremo più tempo libero per coltivare rapporti veri, tra esseri umani.
La musica può avvicinare i popoli?
Lo fa ogni minuto, ma non basta. I conflitti, le guerre non sono altro che manovre economiche, sanguinarie e la gente, tutti noi, ci facciamo manovrare troppo facilmente. La Musica, l’Arte e la Cultura possono al limite aiutarci a diventare veramente coscienti e autonomi, cittadini e non sudditi o utenti come si dice oggi.
Per il cofanetto ha scelto immagini eleganti. Un retrò di strada per riappropriarsi delle tradizioni?
È un disco un po’ controcorrente nella scelta dei suoni dove è bandita l’elettronica e la grafica doveva tenerne conto. L’idea di lasciare una traccia vera e duratura doveva concretizzarsi in suoni acustici di pietra, metallo, legno, muscoli e voce.
Quando vedrete la copertina noterete che l’inquadratura dall’alto è una presa in giro delle telecamere di sorveglianza.
Le sensazioni derivanti dalla composizione musicale: si tocca l’infinito?
Ha sicuramente a che fare con la vita spirituale, perché fissare una melodia che ti arriva da chissà dove è un’esperienza da provare. Certo, uno studia tutta la vita per essere sempre più ricettivo ma c’è sempre un lato misterioso che non saprò mai capire fino in fondo.
Grazie a Francesco Bertone per il tempo che ci ha dedicato
Per questo Articolo/Intervista le immagini sono state fornite dall’ufficio stampa dell’artista/spettacolo. Si declinano per tanto ogni responsabilità relative ai crediti e diritti.