In Donna non rieducabile si interpretano immagini mediante ogni parola espressa e recitata. Per ogni bambino ucciso senza alcun ritegno, ricordato con i fiori. Per ogni vittima uccisa senza un perché né difesa alcuna. Contro la cruda indifferenza e l’omertà ancora vigile e costante
Elena Arvigo è Anna Politkovskaja. Donna non rieducabile non è un distratto documento storico, bensì un testo oculato, da leggere, studiare e ricordare affinché crimini gratuiti contro l’umanità non siano più legittimati, ma legalmente riconosciuti come distruttivi e privi di fondamento.
Donna non rieducabile – Memorandum teatrale di Anna Politkovskaja, è presentato dal Teatro delle Donne, e in scena al Teatro Argot Studio di Roma dal 3 al 15 maggio. Di Stefano Massimi, il progetto è di e con Elena Arvigo.
Anna Politkovskaja, giornalista russa, è stata assassinata nel 2006. Trovata morta nell’ascensore del suo palazzo (un omicidio operato da un sicario), in quanto voce scomoda e in cerca di verità. Quelle che, se emergessero, creerebbero danni alla credibilità di politici corrotti e poco affidabili.
Impegnata sul fronte dei diritti umani, i suoi reportage riguardano la situazione cecena, ma soprattutto la sua efferata opposizione al Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putinm, la confutò combattiva rispetto ai valori in cui credeva.
Un testo, quello di Donna non rieducabile che, sebbene rigido, pungente, denso di amarezza e cenni storici importanti, inserisce la poesia con vigore. L’Arvigo gestisce il monologo in modo impeccabile: con capacità e bravura, che la contraddistinguono, rende giustizia all’insieme, qualitativamente valido.
Dosa i respiri. Dosa l’agitazione. Dosa il dolore. Dosa le descrizioni. Perfetta nei panni della Politkovskaja, l’attrice fa dell’astuzia la sua arma. Misura stati d’animo netti facendoci comprendere quanto per la giornalista sia stata dura lottare contro la paura e i problemi circostanti; ma soprattutto regalandoci un’immagine forte e combattiva, persistendo nel percorso: il suo mestiere, per svelare verità scomode sfiorando la morte.
L’uso dello spazio è mantenuto alto, e connesso all’energia delle parole, arriva al pubblico potente. L’urlo sordo è rivolto a chi non ha mai voluto ascoltare ne fare e trovare soluzioni a favore di un paese considerato sospeso, la Cecenia, dove le persone ti guardano augurandoti libertà, quella che non hanno mai avuto.
Si intrecciano cenni storici, trattative, interviste, racconti di vita personale dentro luoghi e date, mancanze, coprifuoco, pericoli, bombe, controlli, omertà e negazioni. Ma quando la giornalista descrive l’acqua il sentimento cresce. E la goccia di sangue persiste su una testa decapitata, perché la violenza ha sempre lingue diverse per esprimersi.
Anna Politkovskaja nei suoi articoli per Novaja Gazeta, quotidiano russo di ispirazione liberale, ha condannato apertamente l’Esercito e il Governo russi per lo scarso rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, in Russia e in Cecenia. E’ ciò che l’autore del testo fa emergere e l’interprete marca con rabbia e tormento grazie all’intonazione ben modulata.
Sguardo rivolto al pubblico. Quello di Elena è intenso quanto basta per non scollarsi dal nostro posto, farci guidare dalla pancia, elemento fondamentale per scivolare dentro l’atmosfera intensa.
Pensare che questo spettacolo, ove suoni, proiezioni video e luci dialogano con stile, possa essere proposto alle scuole con dignità, è un segnale di presa di coscienza: per capire quanto valore possa avere la libertà di stampa e renderla più fiorente.
Le foto sono di Manuela Giusto
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