De Andrè il poeta degli ultimi, quel connubio di musica e teatro che ha catturato il pubblico della Sala Uno
Non è stata solo una serata dove il pubblico ha ascoltato le canzoni di un grande cantautore italiano.
Fabrizio De Andrè il poeta degli ultimi, andato in scena per tre repliche al Teatro Sala uno di Roma, dall’8 al 10 aprile, è stato uno spettacolo che ha unito le musiche di Faber ai suoi pensieri, divenuti poesia alle orecchie del folto pubblico in sala. Un concerto teatrale diretto da Reza Keradman che ha portato per mano il pubblico nel mondo dell’artista genovese, nato nel 1944 e morto nel 1999. Lo ha condotto nel suo dolore, in quella direzione ostinata e contraria che lo ha sempre contraddistinto; lo ha fatto viaggiare nei suoi pensieri, nelle sue parole e melodie. Lo ha ospitato nelle sue ispirazioni e motivazioni. Un’ora e anche più, grazie ai tanti bis richiesti, che hanno emozionato la platea e permesso di respirare buona musica.
Quattro donne vestite con semplici abiti a fiori, a ricordare forse quella primavera che se ne parte con Bocca di Rosa. Con eleganza hanno preso i loro posti: alla tastiera Patrizia Servida, al microfono Debora Cetroni, ai flauti Martina Nasini e poi Astra Lanz colei che darà voce ai pensieri di De Andrè. Quattro bravissime artiste accompagnate sul palco della suggestiva Sala Uno da Franco Menichelli alla chitarra e Mario Alberti colui che con la sua voce ha emozionato, e non poco, il pubblico. Si attraversano i pensieri di Faber, grazie alle descrizioni che la brava attrice conferisce prima di ogni singolo brano. E così, grazie alle sue parole, anche quei testi più volte ascoltati prendono forma, acquistano potenza, si comprende meglio il messaggio dell’autore. Si coglie l’invidia di quel Giudice “arbitro in terra del bene e del male”, la purezza di Geordie, la bellezza di Bocca di Rosa, il dolore per quel Piero ucciso da un soldato con un’uniforme diversa. Testi scritti decine di anni fa ma più che mai attuali. Non si può non comprendere il dolore nelle parole de La canzone di Marinella o la “satira” contenuta in Don Raffaè o il massacro dei Pellerossa ricordato alla fine dello spettacolo con Il fiume Sand Creek. Non potevano mancare le note di Dolcenera, Il testamento di Tito, Volta La Carta, La canzone dell’amore perduto, Il pescatore.
Un pubblico attento, all’inizio apparentemente poco partecipe, ma che, invece, ha ascoltato con attenzione ogni singolo passaggio è stato testimone di una serata più che riuscita. Le luci curate da Fabrizio Cicero ha accompagnato ogni singolo cambiamento di accordi, percussioni e voci. Un connubio di musica e parole che ha zittito per sessanta minuti il rumore superfluo di questa capitale che accolse il grande Faber; un binomio, quello di musica e teatro, che ha cullato le emozioni, quelle vere, quelle che le lacrime manifestano e che solo un artista come De Andrè può scuotere e che solo una bravissima compagnia può far rivivere.