La parola canta. Napule nelle vene

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Una performance di alto livello, più visiva che sensoriale, di cui i ricordi permangono intatti in memoria. Successione equilibrata e elegante di letture, declamazione e canto. Abbiamo visto danzare letteratura, teatro e musica grazie a due voci eccelse.

L’Auditorium di Roma. Un gran palcoscenico di stili differenti, per lo più rivolti alla musica. In alternanza si affiancano e dialogano nell’immensità degli eventi proposti.

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Flusso di parole. Un flusso di parole che dal ventre scaturisce in libertà. Un flusso di parole impetuoso.

Minimo il gioco di luci. Luce, ombre, penombra. Sullo schermo passano sfumature blue, gialle, verdi, e rosse.

Un gioco di canto e parole ritmate, movimentate, tonte, circolari, roboanti, è sublimato da due voci eccelse. E applausi scroscianti travolgono i protagonisti de La parola canta.

In sottofondo le armonie del Solis String Quartet, composto da Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio, violini, Gerardo Morron, viola, e Antonio Di Francia, cello.

Toni e Peppe Servillo hanno, incandescenti, incantato la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Molte le serate in programma, dal 6 all’11 febbraio, e poi ancora il 13 e 14 febbraio.

Poesie e canzoni. Il dialetto. Napule nelle vene. Ha davvero emozionato.

Non è facile descrivere un portentoso carico di recitazione e cantautorato, i due mondi a cui i fratelli appartengono.

Una successione equilibrata e elegante. Versi in rima e ironia delle letture composte, le quali hanno visto danzare letteratura, teatro e musica della storia del ‘900 e alcuni brani recenti.

La tradizione partenopea da cui si è attinto ha visto come protagonisti autori classici da Salvatore Di Giacomo, a Raffaele Viviani e Eduardo De Filippo, Enzo Moscato, Mimmo Borrelli e Michele Sovente.

Napoli è la protagonista indiscussa. Si balla nella mente. Il ritmo del romanticismo è sogno.

Napoli nei suoi scorci, nei suoi luoghi, nella sua società, nella sua vita, nei suoi modi di dire, nella sua parlata scivolosa, nelle sue tradizioni.

La città sembra, così, essere abitata dagli astanti. Si immagina qualsiasi dimensione si voglia o si desideri. Ogni luogo, ogni dove, ogni tempo.

Voci duttili, movimenti di bocca e toni roboanti nelle loro splendide diversità, sinuosamente infilatesi fra le corde picchiettate degli strumenti, e suonate per un repertorio tradizionale e contemporaneo.

Eccezionale la portata dei violini, della viola e del cello. Un quartetto perfetto. Si trascende tra jazz, pop e moderno. Abbiamo navigato su un mare fascinoso di musica e di letture.

Te voglio bene assaje, Minuano, Sogno biondo, Movimento di tarantella, Maruzzella, Dove sta Zazà, ‘A casciaforte, Està – Nun voglio fa’ niente, Mozartango, Allegretto pizzicato, Guapparia, ‘O guappo ‘nnammurato,Tarantella del Vesuvio, Canzone appassionata.

Napule, L’ommo sbagliato, ‘A Sciaveca, Litoranea, Commedianti, Vincenzo De Pretore, Cose sta lengua sperduta, Fravecature, Sconcerto.

Le parole fuoriescono con commozione, non trovando altro che ricordi intatti in memoria. Tanto da considerare che questo genere di performance di alto livello, più visive e sensoriali, sono segno che siamo capaci a costruire arte.

La qualità ci appartiene, seppure sembri retorica. Tuttavia ci sentiamo di esprimere che questi esempi dovrebbero essere punti di partenza per aprire le porte a un ampio pubblico, e a grande eco provvedere a una rinascita culturale sana e prorompente.

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