Mi sono immaginato uno spettacolo teatrale da fare nei bar.
Delle serate di caos silenzioso.
Un concerto per sole chitarre, computer e parole. Come qualche anno fa, in tutta tranquillità.
Immaginavo di mischiare le canzoni di tre dischi così come sono state scritte in qualche stanza tra Ferrara e tantissimi altri posti.
Al Monk di Roma ieri sera sembrava di entrare in una stanza, con libri sparsi a terra il computer acceso e una chitarra in un angolo.
La stanza di Vasco Brondi (Le Luci Della Centrale Elettrica) che condivide con il suo pubblico un concerto di “caos silenzioso” di suoni rarefatti e di chitarre, acustiche o elettriche, distorte o pulite, maltrattate o accarezzate.
Da ascoltare a occhi chiusi, tutti insieme, respirando piano sui bit digitali di un computer, per un concerto “di grida e di silenzi”.
Piccolo miracolo che deve le sue luci all’accompagnamento di Andrea “Cabeki” Faccioli e alla sua “astronave” di suoni.
Dopo il Tour di Costellazioni, ultimo disco di Le Luci Della Centrale Elettria, gridato su chitarre distorte e ritmiche elettroniche, le canzoni si mettono a nudo. Tornano ad essere quelle folli e lucide storie dei nostri anni zero riverberate da una chitarra acustica e tre accordi suonati con l’urgenza di chi ha davvero qualcosa da dire.
«Racconto storie provinciali e anche spaziali. Piccole storie illuminate dai pianeti e dalle costellazioni»
Non è possibile che persino i ragazzini di sedici anni non abbiano fiducia nel futuro. La mia musica deve essere “illogica allegria”, come diceva Giorgio Gaber, e deve essere un anticorpo verso la mentalità negativa.
In fondo vorrei solo che le costellazioni facessero luce su questi tempi bui e su questo orizzonte poco chiaro che abbiamo davanti.
È su questa lucida analisi dei nostri tempi che suonano le canzoni di Vasco Brondi, sulla nebbia della pianura padana, sugli operai, sugli amori rotti dalle distanze e sulla noia della provincia. Sulla vita che ci accade nei bar, in piazza e sulle americhe a 40 km da casa.
Perchè è molto più complicato vedere il presente piuttosto che predire il futuro che artisti come Le Luci Della Centrale Elettrica sono necessari.
Il suo è un incontro-spettacolo dove i selfies lasciano spazio alle parole, ricostruendo quel linguaggio, come avveniva in una certa letteratura, che spinge ad osservare e riflettere sul tempo e lo spazio che viviamo con una lentezza e profondità inaccessibile all’essere digitale.
Vasco Brondi arricchisce, difatti, le sue canzoni con letture di autori, poeti e lucidi sognatori come Pasolini e Fellini.
La canzone si fa cosi complice di un’intima ribellione.
Viviamo in periodi neri, spettacolari. Scorrono città, strade, pezzi di vita ed età differenti e Le Luci Della Centrale Elettrica sono la compagna di una generazione smarrita in un insieme di scontri e di feste.
Basterebbe raccogliersi per un attimo nella preghiera di Padre nostro dei satelliti per vedere i naufragi e i momenti irripetibili di questa nostra gioventù che forse resterà per l’eternità su Youtube.
Ed è cosi in maniera un po folle come la locandina del tour con la chitarra e il computer, che vede un astronauta impennare su di un Ciao, che salutiamo questo cantautore della nebbia felice da fare schifo.