Marco Belocchi, regista de Il principio di Archimede in scena al Teatro L’aura, Marco Larosa lo ha incontrato per noi
In scena Il principio di Archimede. Qual è stato l’elemento scatenante che le ha fatto scegliere proprio questo testo?
Non credo ci sia stato un unico elemento, ce ne sono diversi. Innanzitutto mi ha affascinato la struttura del testo che opera una scomposizione temporale, ovvero la sequenza delle scene non è cronologica e questo da un punto di vista registico, pone dei problemi da risolvere. Sicuramente la mia conoscenza della drammaturgia spagnola: ho già messo in scena altre due pièce di autori iberici e trovo che sono sempre molto stimolanti. Infine la tematica. Un paio d’anni fa ho girato un cortometraggio dal titolo I colori del drago, la storia di un pedofilo che viveva la sua tendenza come una dannazione. Tornare sull’argomento da un diverso punto di vista mi pareva interessante.
Come ha conosciuto la drammaturgia di Josep Maria Miro Coromina
Da sempre mi interesso di drammaturgia contemporanea e da 10 anni curo insieme a Pino Tierno il Festival di Drammaturgia contemporanea “In Altre Parole” dove portiamo in Italia testi teatrali provenienti da paesi la cui cultura teatrale è da noi poco conosciuta. Come dire quasi tutti tranne Francia Inghilterra e America. La Spagna è uno di quei paesi a cui abbiamo dato più attenzione, la sua drammaturgia è molto forte e i suoi autori vengono ormai normalmente rappresentati in tutto il mondo… tranne in Italia, a parte le poche eccezioni che abbiamo fatto conoscere noi.
Come ha scelto gli attori? Cosa le hanno trasmesso in queste repliche?
Gianluca Vicari è stato un mio allievo al Centro Sperimentale di Cinematografia dove avevo già notato le sue qualità e il suo temperamento. Manuel Ricco l’ho scelto dopo alcune audizioni e la sua spontaneità mi ha convinto quasi subito. Laura Monaco ha appoggiato il progetto fin da subito quando l’ho proposto al suo teatro.
Durante le repliche mi hanno trasmesso vitalità e voglia di fare questo mestiere. Sono giovani, hanno ancora tanta strada davanti, ma credo che avere il giusto carattere e mentalità sia fondamentale per proseguire.
In scena la paura della pedofilia. Cosa rappresenta per lei la paura?
La paura può essere uno stimolo. La paura di non essere all’altezza delle situazioni per esempio può essere uno stimolo per migliorarsi, per non prendere le cose sottogamba. Bisogna imparare ad usarla e non farsi dominare da essa.
La pedofilia, la cronaca ne parla spesso. Il principio di Archimede come affronta la questione?
Il testo di Coromina affronta più che altro la psicosi della pedofilia: un ragazzo è accusato di aver baciato in bocca un bambino. La sola testimonianza di una bambina basta a scatenare una caccia al mostro, una psicosi appunto. Noi viviamo in una società fortemente ipocrita dove la difesa dei diritti dei più deboli in realtà maschera ingiustizie sociali, mancanza di valori o peggio perbenismo finto progressista e conformismo. Credo che Il Principio di Archimede denunci proprio questo: la superficialità e l’ipocrisia di un giudizio preconcetto. Coromina non giudica, però lascia tutto nell’ambiguità, perfino il genitore di uno dei bambini (che tra l’altro interpreto io) è ambiguo. Cosa nasconde quel suo accanirsi contro il giovane istruttore, quella sua ossessione verso qualsiasi adulto che si mostra anche solo gentile verso un bambino. Oggi anche solo fotografare il sorriso di un bambino può essere equivocato. Viviamo in una ben strana società!
Nel testo si parla anche di fiducia. In questo lavoro quanto è importante fidarsi degli attori che si dirigono?
Più che altro sono gli attori che devono fidarsi del regista che li conduce per una strada che spesso loro inizialmente non hanno chiara e che solo mano a mano si dipana in un disegno coerente. Diciamo che ci dev’essere una fiducia reciproca.
Nel comunicato si parla anche di “mostri del passato”. Ne ha? E se si, come ha imparato a gestirli?
Non credo di avere particolari “mostri” nel mio passato. Ho rimorsi e rimpianti, come tutti credo, con cui convivo e cerco di trasformarli in materia artistica, attraverso gli spettacoli, la scrittura (che è l’altra mia attività) cercando di non rimuovere nulla. La rimozione non serve a nulla. Tutto è materia vivente, trasformabile, artistica.
Cosa si aspetta dal pubblico, quale messaggio vuole che comprenda maggiormente?
Il pubblico vorrei che godesse innanzitutto di un bello spettacolo, che avesse la sensazione di stare a teatro a vedere degli attori bravi un’armonia scenica data dall’interazione di azione, scene, luci, musica. Spesso si dimentica che il teatro è un linguaggio artistico complesso dove tutte le componenti devono convergere verso un unico obiettivo. Il pubblico alla fine deve alzarsi dopo aver avuto, più o meno consapevolmente, una serie di emozioni e una serie di riflessioni. Se questo succede si può essere soddisfatti.
Se ci sono, può darci un’anticipazione dei suoi progetti futuri?
Ne ho molti, forse non tutti si realizzeranno. Ho scritto la sceneggiatura di un lungometraggio, un noir al femminile. Dovrei mettere in scena un Macbeth e un adattamento di Caligola e tante altre cose ancora. Chissà, il teatro è talmente in crisi che non si può mai giurare su ciò che si farà il giorno dopo.