Parlo con te, e la difficoltà di spiegare la vita ad un’ipotesi di vita.
Raccontare la vita ad una vita che sta per nascere. É questo il senso, e non solo, dello spettacolo che dal 5 all’8 novembre è andato in scena al Teatro Furio Camillo. A cimentarsi in questa impresa è Paolo Scannavino, diretto da Laura Donzella.
Parlo con te esordisce in questo modo l’attore, solo sul palco con cinque sedie, di diversa grandezza, e un orsacchiotto di peluche.
Guarda in alto Paolo Scannavino, a destra nella platea gremita di gente. E lì che immagina il grembo abitato della sua compagna. E’ lì che vive, grande come un fagiolo messicano, suo figlio che nascerà tra otto mesi. E proprio da lì che partono gli interrogativi, i dubbi, le paure ma anche le consapevolezze di un padre felice per l’arrivo di questa vita che si sta formando. In poco più di un’ora di spettacolo, l’attore romano conosciuto al pubblico come clown e giocoliere, dà vita, rivisitandola, alla scrittura visionaria, ironica e struggente di Pennac portando in scena Parlo con te, liberamente ispirato a “Monsieur Malaussène” e rielaborazione del testo originale di Daniel Pennac “Signor Malaussène a teatro”, tratto dal volume “Ultime notizie dalla famiglia” (1997)
Scenografia scarna, dicevamo, e sono questi gli spettacoli che maggiormente ci colpiscono. A sostenere l’attore è solo la sua parola e la imponente presenza scenica. Ed è qui che sta la difficoltà nell’interpretare un testo che cerca di rispondere a domande solo apparentemente semplici.
Un monologo, quindi, che monologo in realtà, non è. Perchè Benjamin Malaussene si rivolge a suo figlio, un figlio che non può parlare ma che di sicuro ascolta proprio come il pubblico in sala attento a vivere quelle emozioni che di lì a poco cambieranno. La gioia per l’arrivo del nascituro che si trasformerà in tristezza e poi ancora in rabbia nei confronti di un Dio che dà, ma che comunque può togliere.
Le luci, perfettamente studiate per il lavoro, accompagnano il percorso dell’attore ma anche dell’uomo. In questo spettacolo Paolo
Scannavino fa entrare tutte le emozioni, anche contrastanti, di un padre responsabile di aver dato vita ad un’altra esistenza. Gli racconta della sua famiglia, dà vita a tutti i personaggi che la popolano. La stessa famiglia con il quale il bambino avrà a che fare. Paolo Scannivno è solo in scena ma i personaggi che interpreta sono tutti lì con lui. Basta chiudere gli occhi e le urla della sorellina stridono nel cervello, le domande bizzarre del fratello minore ti strappano il sorriso, la voce dell’amico ti risuona in testa e gli atteggiamenti di sua madre riesci ad immaginarli come se lei fossi lì ad ascoltare suo figlio parlare a suo nipote. E parla Benjamin, parla della vita inevitabilmente legata alla morte. Si domanda il senso della stessa e i motivi per il quale vale la pena viverla. Scava all’interno dell’animo umano, prova a rispondere a domande che in realtà non hanno risposta. Un inno alla vita, desiderata, voluta ma anche temuta.
Un lavoro coraggioso per l’attore sicuramente ben diretto in un testo tutt’altro che semplice. Un lavoro ricco di sfumature e la bravura di Scannavino sta proprio nel farle vivere tutte, a volte enfatizzandole un po’ rischiando, soprattutto negli attimi di dolore, di cadere nell’irrealtà ma riprendendosi meravigliosamente quando a quel bambino, ancora senza nome, gli viene data una seconda possibilità. E allora quell’essere minuscolo riprende a vivere e con il tempo !
Si costruirà un’impalcatura di illusioni sulle fondamenta del dubbio, i muri nebulosi della metafisica, l’arredo perituro delle convinzioni, il tappeto volante dei sentimenti…Mangerà, berrà, fumerà, amerà, penserà…E poi deciderà di mangiare meglio, di bere meno, di non fumare più, di evitare le idee, di mettere da parte i sentimenti…Diventerà realista. Darà consigli ai figli. Ci crederà un po’, giusto per loro. E poi non ci crederà più
al contrario di Paolo Scannavino che si caratterizza in questo lavoro per costanza e determinazione. Lui clown e giocoliere crede di poter salire sul palco, raccontare le sue emozioni, raccontarle a gran voce e, inevitabilmente, vince.
Foto di Marco Barretta