Al Roma Fringe Festival, una strepitosa Daniela Barra ci racconta la vita di una delle icone della musica jazz: Billie Holiday con lo spettacolo La signora del blues per la regia di Jacopo Bezzi e l’allestimento scenico a cura de La Compagnia dei Masnadieri
Nata a Filadelfia, Billie Holiday si trasferisce ancora bambina a New York dove vive un’infanzia tutt’altro che felice tra stupri e povertà. Il suo primo lavoro è stato appunto in un bordello clandestino di Harlem, la cui tenutaria le consentiva di ascoltare i dischi di Louis Armstrong e Bessie Smith al grammofono.
A seguito di un’irruzione della polizia il bordello fu chiuso e Billie Holiday imprigionata. Alla sua uscita decise che era ora di cambiare lavoro e si presentò come ballerina in un locale notturno. Le sue capacità nella danza erano molto limitate ma i proprietari, sentendola cantare, l’assunsero immediatamente.
Il suo soprannome Lady nasce proprio in questo periodo affibbiatole dalle sue colleghe che la deridevano perché Billie Holiday, a differenza loro, si rifiutava di ricevere le mance prendendo le banconote tra le cosce, ma le pretendeva tra le mani.
Appena diciottenne, mentre cantava al “Log Cabin”, fu notata dal produttore John Hammond, che le organizzò alcune sedute in sala d’incisione con suo cognato Benny Goodman, ancora non conosciuto come il “Re dello Swing”.
Dopo aver registrato alcuni dischi con Teddy Wilson che la fecero conoscere al grande pubblico, lavorò con grandi nomi del jazz come Count Basie, Artie Shaw e Lester Young, al quale fu legata da un intenso rapporto d’amicizia e per il quale coniò il soprannome “Prez” (“il presidente”), mentre egli inventò per lei l’adesso noto “Lady Day“ aggiungendo “Day” al nomignolo “Lady” con cui Billie era già conosciuta, perché facesse assonanza con “Holiday”.
Billie Holiday, con l’aiuto e il supporto di Artie Shaw, fu tra le prime cantanti nere ad esibirsi assieme a musicisti bianchi, superando le barriere razziali. La Holiday nei locali dove cantava doveva comunque utilizzare l’ingresso riservato ai neri, e rimanere chiusa in camerino fino all’entrata in scena. Una volta sul palcoscenico, si trasformava in Lady Day: portava sempre una gardenia bianca tra i capelli, che divenne il suo segno distintivo.
Alla fine degli anni 30, sfidando le discriminazioni razziali che colpivano i neri, cantò una canzone coraggiosa, Strange Fruit : il frutto era il corpo di un nero ucciso dai bianchi ed appeso a un albero. La canzone divise il pubblico; la Holiday poté eseguirla solo se la direzione del club lo consentiva previamente.
La carriera e la vita di Billie Holiday furono segnate dalla dipendenza dall’alcool e dalla droga, da relazioni burrascose e da problemi finanziari. Anche la sua voce ne risentì, e nelle sue ultime registrazioni l’impeto giovanile lasciò il posto al rimpianto. Il suo impatto sugli altri artisti fu comunque notevole in ogni fase della sua carriera.
Lo spettacolo, attraverso video proiezioni e canzoni cantate dal vivo dalla meravigliosa voce di Daniela Barra, consentono allo spettatore di tuffarsi in questa atmosfera fatta di violenza, di discriminazione razziale ma anche di ribellione ad un sistema da parte di una cantante riconosciuta come una delle più autorevoli e talentuose di ogni tempo. Una donna fragile ma coraggiosa allo stesso tempo, una voce che ancora oggi, a risentirla graffia l’anima.
E quando ve ne andrete dite che avrete sentito cantare un angelo, puzzava di whisky, era negra ed era vestita di stracci. Ah dimenticavo, mi chiamo Billie Holiday
Regia: Jacopo Bezzi
Con: Daniela Barra
Allestimento scenico a cura de La Compagnia dei Masnadieri
Organizzazione: Nicoletta La Terra
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