Uscirà nelle sale il prossimo 29 aprile Tracks, il nuovo film del regista statunitense John Curran, presentato in concorso alla 70esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Racconta la storia vera di Robyn Davidson, una ragazza australiana, interpretata da Mia Wasikowska, che nel 1977 attraversò a piedi 2700 km di deserto australiano, da Alice Spring all’Oceano Indiano, in compagnia del suo cane nero e dei suoi quattro cammelli. Tratta dall’omonimo bestseller autobiografico, assistiamo alla riproduzione di un’impresa estrema, di ostinata alienazione dall’umanità. È un sfida dei propri limiti che, se in partenza sembra pretestuosa e folle, trova il suo senso rotta dopo rotta, tracciata dalla protagonista su una cartina di “luoghi dell’anima”, in cui sono nascosti pericoli, luci e ombre, miraggi abbaglianti e dolorosi ricordi insabbiati.
Questo impervio viaggio verso l’ignoto, nella sconfinata distesa di dune e terra arida, sia suggestiva che angosciante, mai uguale da punto a punto (e per perdere la bussola basta davvero un soffio), è stato reso da Curran quanto più fedele alle foto originali pubblicate dal National Geographic, che all’epoca finanziò l’avventura della “Signora dei cammelli”. Robyn, da accordi e contro il suo voto di solitudine (salvo qualche raro incontro con vecchie popolazioni aborigene o turisti curiosi), concedeva di essere scortata solo in alcune tappe dal fotografo Rick Smolan (Adam Driver), per documentare l’avanzata divenuta fenomeno mediatico.
Mia Wasikowska dà prova di bravura e grande resistenza fisica, entrando perfettamente in questa seconda pelle arsa dai raggi infuocati, grondante di gocce di sudore, con i piedi induriti dal lungo cammino, dandoci la misura di quanto siano preziosi i sorsi d’acqua centellinata e la dimensione del silenzio, che spaventa ma mette in contatto con la voce interiore del proprio io. Ogni tanto, la colonna sonora proveniente da un mangianastri è l’epifania che spezza il sottofondo naturale e attiva i flashback della memoria.
Tracks prende a modello Robyn Davidson come uno spirito selvatico che non vuole lasciarsi ammaestrare dalla società codificata, il suo è un ritorno al bisogno di sopravvivenza ed esplorazione degli uomini primitivi.
Nel 1977 poteva sembrare ancora concepibile non essere aggiornati e non aggiornare in tempo reale su ciò che succedeva attorno. Almeno per la durata del film, anche noi saremo isolati dai nostri dispositivi elettronici che annullano sì le distanze della comunicazione globale ma ci hanno resi schiavi di viziosi automatismi. E magari proveremo un po’ di quella stessa sete.