Si parte da una scenografia che richiama un po’ gli scaffali delle nostre tabaccherie, una sorta di Las Vegas artigianale, centinaia di gratta e vinci tappezzano il fondale e i lati della scena. Tutto questo colore, unito ad un disegno luci da casinò, preannuncia all’avvio di una commedia che possa condurre ripetutamente lo spettatore alla risata: ma il Ficcasoldi di Rosario Mastrota con Dalila Cozzolino, Marco Foscari e Marco Usai andato in scena al teatro Kopò dal 21 al 23 marzo non è solo questo, anzi.
Il Ficcasoldi è un atto unico che con leggerezza mai banale o superficiale tratta una piaga dei nostri giorni, la dipendenza dal gioco d’azzardo e dalle macchine mangia soldi “le slot machines”.
Il protagonista è un giovane imprenditore nel settore abbigliamento, la crisi economica ha bruciato il suo lavoro. Nel tentativo di rialzare la testa e ricominciare la sua vita, il caso lo trascina in un bar. Basta solo un euro, trovato per caso, e la sua vita inizia a virare in una direzione che presto sfugge al controllo.
Una moglie vicina, ma che non percepisce il disagio e la frustrazione del compagno, un barista complice di inganni, l’annullamento del protagonista: la storia inizia a muoversi sui fili di un vero e proprio dramma: l’esistenza di un uomo che perde,non solo soldi, ma sempre e continuamente se stesso. Una vita che va a pezzi, si frantuma, esattamente come un sacco di monete gettate a terra. Parallelamente emerge un universo parallelo, quello della malavita organizzata, che sull’ebbrezza compulsiva del gioco e la disperazione della gente costruisce la sua fortuna e il suo impero. Il tutto condurrà ad un finale amaro ma vero, tutto da vivere e scoprire.
Il ficca soldi è un bello spettacolo fatto da giovani e per questo è energico, ben scritto e ben recitato e vissuto con grande “verità” dai tre protagonisti in scena. Forse può risultare lento in alcuni punti ma recupera benissimo grazie a delle belle trovate sceniche, siparietti comici che non depotenziano il narrato, anzi attraverso il bisturi dell’ironia sottolineano come l’imperante etica del “vincere facile” e del “vivere facile” sia in realtà una macchinazione per “giocare” esattamente come i led delle slot con la vita altrui.
Da vedere, da sentire.