Che esca una decina di giorni prima della Giornata della Memoria non è un caso.

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Il nuovo lavoro di Roberto Faenza , Anita B., ancor prima di uscire nelle sale genera discussioni nel mondo del cinema e tra gli addetti ai lavori.

La cosa è emersa chiaramente ieri durante la conferenza stampa di presentazione che si è tenuta al termine della proiezione presso il Cinema Barberini di Roma.

A farsi portavoce del disagio è stata, senza mezzi termini la produttrice Elda Ferri.

 “Siccome qui nessuno è Biancaneve, sappiamo bene qual è la situazione distributiva italiana. Se non esci con 01,Medusa o la Warner si incontrano delle difficoltà enormi  che non si riescono a superare. A questo punto i film sono molti e non sono tante le sale. Ci sono comportamenti gratuiti e violenti. Questo è uno dei veri problemi del nostro cinema. Tutti i film devono avere il diritto di uscire. Dobbiamo ringraziare Rai Cinema che è intervenuta e ci ha consentito di fare il film. Mi stupisce che questa cosa sembri una novità mentre riguarda tutte le produzioni indipendenti che fanno film che non sono distribuiti da queste tre grosse concentrazioni. Bisognerebbe aprire un discorso su questo problema .Occorre combattere questo atteggiamento di puro potere. Fare il produttore indipendente ha più senso??Usciremo in 20, 25 0 30 copie, ancora non lo so perché ce lo dicono solo adesso”, commentava tra l’atterrito e lo stizzito la Ferri.

Come confermato da Faenza, pare che molti esercenti si stiano sottraendo agli impegni presi.

“Non mi piace fare la vittima ma penso ci sia un equivoco su questo film. Quando si parla di una ragazzina uscita da Aushwitz subito si scatena una forma di terrore. Lo stesso problema che incontra Anita in un ambiente ebraico in cui è costretta a non parlare del passato. Non sanno che non è un film sull’orrore ma sul dopo, il che è una novità. Il problema grosso è che gli esercenti non vedono i film prima di proporli. E’ un grosso torto verso il pubblico quello di essere così restrittivi. Hanno diritto di cittadinanza anche  film del genere.”

Anita (Eline Powell), sopravvissuta ad Auschwitz dove ha però perso entrambi i genitori, viene accolta dalla zia Monika (Andrea Osvart) che a Zvikovez, non lontano da Praga, vive col marito Aron, suo figlio e suo cognato Eli ( il Robert Sheehan della serie tv Misfits).

Il dramma di Anita continua ad alimentarsi nel silenzio dei propri cari. Lo shock del post olocausto viene esorcizzato da molt,i e soprattutto dal suo nucleo familiare, con la voglia di dimenticare. Una rimozione sistematica e assoluta di quanto successo. Non si può censurare il desiderio all’oblio di molti in seguito a quanto accaduto ma per Anita non è così. Il passato diventa tabù e un marchio di cui vergognarsi, mentre lei avrebbe tanto bisogno di sfogarsi con qualcuno ogni tanto.

Catapultata di fronte a decisioni difficili come l’ipotesi di un esodo in Palestina, Anita, che nel frattempo scopre l’amore e anche le amarezze che questo custodisce, dovrà fare le sue scelte tenendo sempre il fuoco della speranza per una vita nuova sempre acceso.

“Io non volevo leggere il libro di Edith Bruck perché avevo già fatto film sul tema dell’olocausto ma Furio Colombome l’ha proposto dicendomi che avrei dovuto assolutamente leggerlo. Mi sono reso quindi conto che effettivamente non era  la solita storia. Io non ho mai visto un film sul dopo shoa. È vero che Primo Levi ha scritto “La tregua”, ma si riferisce al viaggio di ritorno”.

In effetti  questa ragazzina con assoluto candore non capisce come mai non l’accolgano come si aspetterebbe. Un po’ come accade in “Napoli milionaria” a Eduardo che torna dalla guerra certo che tutti l’avrebbero festeggiato.

C’è una bella frase di Jean Amery, scrittore e compagno di baracca di Levi: “Dio ha dato all’uomo la dimenticanza. C’è un angelo che si accosta ai bambini per fargli ricordare e un altro che gli tappa la bocca per dimenticare”. È un po’ come in questa storia.

Andrea noi in Italia ti conosciamo molto per l’esperienza al Festival di San Remo. Per una attrice come te pensi che quella partecipazione ti abbia agevolato o l’esatto contrario?

Ho volutamente scelto di cambiare il mio percorso perché volevo fare l’attrice mentre nel 2008 ho fatto la valletta di San Remo. C’é voluto tempo per cambiare questo tipo di percorso. Sono dovuta sparire e starmene in America per due anni per pulire un po’ l’immagine che in Italia avevano di me. Poi fortunatamente è arrivato “Maternity blues”, un film d’autore che m’ha riportato al cinema e ora eccomi qui. Ho lottato per questo ruolo perché tratto dal libro di una scrittrice ungherese come me e come la Monika del film. Una donna che dentro sé porta tanto dolore  e in superficie non fa vedere

Il personaggio di Eli è così anche nel libro?

“Nel libro forse è più negativo che non nel film. È un ragazzo molto giovane che viene fuori da una prova molto dura, non lo crocifiggerei”, afferma il regista.

Un po’ come sostiene anche Robert Sheehan: “Sì, in un certo senso è un personaggio negativo perchè non si pone il problema di sottoporre Anita all’aborto, non sentendo la gravità delle conseguenze di quel che sta facendo. D’altra parte non credo sia interessante interpretare un personaggio che sia solamente negativo ed è quel che abbiamo cercato di fare nel film. Sottolineare e affrontare quelle che potevano essere le ragioni e le motivazioni che lo spingono era importante. È vero che lui in un certo senso approfitta di lei. Fa ricorso al suo fascino ma non è solo negativo. È fragile anche lui, anche lui ha subito traumi tremendi ed è per questo che non ha fiducia nel mondo e lo dice apertamente. È un mondo che odia.”

Il film in realtà esce nel periodo della memoria ma la volontà di anticipare la data di uscita è stata dettata proprio dalla necessità  di non etichettare il film come esclusivamente legato all’olocausto, un tema forse fin troppo abusato.

C’è tempo per un’ultima considerazione per la protagonista femminile: “ Ho fatto un sacco di ricerche e studi prima di cimentarmi in un ruolo così duro ma allo stesso tempo interessante per un attrice. Sono andata a visitare un campo di concentramento in Belgio. La cosa ha cambiato tutto per me. Non potrò mai dimenticare quel freddo e le cose che ho visto. Voglio dire, ho studiato a scuola, conosco i dati statistici e numerici ma solo stando li ho potuto davvero realizzare. La sfida è stata come far nascere la speranza nel mio personaggio e in questo Roberto mi ha aiutata tanto”.

In definitiva un buon prodotto che seppure non lascia il segno gode di alcune pregevoli interpretazioni tra cui quella di Moni Ovadia oltre a quella dei due protagonisti. Se al botteghino non prevediamo il “botto”, siamo convinti che il passaggio sulle tv darà maggiore visibilità all’opera di Faenza.

Prodotto da congiuntamente da Jean VigoCinema Undici con Rai Cinema e distribuito da Good Films, la pellicola è uscita in sala il 16 gennaio.

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