“Ho cercato il mio nome – Viaggio nelle città invisibili”.
di Andrea Donatiello
regia di Simona Specchio
liberamente ispirato a “Le città invisibili” di Italo Calvino
Di Andrea Donatiello
Regia di Simona Specchio
Musiche originali di Fabio Patriarca
Scenografie e costumi di Leonardo Locchi
Disegno luci Cosimo Caroppo
Con
Andrea Donatiello
Angela Telesca
Azzurra Sottosanti
Biagio Graziano
Fabio Patriarca
Gabriele Serpillo
Gianluigi Cacciotti
Giorgia Reggimenti
Leonardo Locchi
Matteo Maruccio
Rene Salazar Batista
Simona Specchio
Nella postfazione a ‘Le città invisibili’, Pierpaolo Pasolini afferma che “Tutte le città che Calvino sogna, in infinite forme, nascono invariabilmente dallo scontro tra una città ideale e una città reale: questo scontro ha il solo effetto di rendere surrealistica la città reale, ma non si risolve storicamente in nulla.” Andrea Donatiello e Simona Specchio nel loro progetto liberamente tratto dal testo di Calvino, sembrano voler rispettare questo presupposto creando una sorta di realtà-sogno.
“Ho cercato il mio nome – Viaggio nelle città invisibili” ( in scena fino al 15 gennaio al Teatro San Genesio di Roma) può considerarsi una sorta di sequel delle Città: alla morte dell’imperatore dei tartari, sua figlia (interpretata da Simona Specchio) decide di mettersi in viaggio verso la città di Zora per cercare di salvare l’ impero ormai in lenta decadenza e per scoprire il significato del suo nome (che ci verrà svelato solo alla fine).
Di grande importanza in questo adattamento è il valore del ricordo: la principessa legge il libro di memorie del padre raccontando a noi spettatori-sudditi l’incontro di Kublai Kahn (Andrea Donatiello) con il mercante veneziano Marco Polo (Fabio Patriarca).
Il sipario si apre e a terra ci sono delle borse sparse che fanno subito pensare al viaggio. Gli attori entrano gradualmente in scena e iniziano a camminare in questa metropoli immaginaria con dei ritmi sempre più serrati, proprio a voler ricordare la frenesia della vita di tutti i giorni. Il viaggio ha inizio, e i ricordi dell’impero di Kublai Kan si inebriano di atmosfere e musiche che ricordano Le mille e una notte, testo infinitamente caro a Calvino.
Non è importante cosa sia la città o quello che offre; quello che conta è cosa il viandante ritrova di sé in quel luogo inesplorato. In fondo, l’amore che nasce per una città è quel senso di appartenenza che vi ritroviamo.
La scena è essenziale, impreziosita da un albero illuminato che campeggia sul fondo incorniciato da due tende leggere. Qui l’imperatore dei tartari incontra Marco Polo che gli racconta cosa è rimasto in lui delle 55 città dal nome di donna in cui dice di essersi imbattuto lungo il suo cammino.
Nel complesso il progetto risulta essere un lavoro intrigante ma un po’ acerbo.
Lo spettacolo è penalizzato da una lentezza a tratti disarmante, sia nell’azione che nella parola, che smonta inevitabilmente la tensione emotiva. Un vero peccato, visto l’impegno dei giovani attori della Compagnia De’ Mirjade che sembrano promettenti. Interessante la lettura in chiave moderna di alcune delle città che Polo visita ma, risultando poco incisiva, ha il demerito di rompere l’incanto.
Lo spettacolo rimane comunque un omaggio apprezzabile al grande scrittore e uno spunto per riflettere su come trasformare una città invisibile in una città vivibile nel mondo reale.