Marcel Duchamp e l’iconoclastia dell’arte: alle radici dell’avanguardia.

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di Alessia Carlino

“L’opera d’arte vive, dal momento in cui è stata creata e realizzata, una cinquantina d’anni, sessanta, non si può dire quanto, poi l’opera muore. Però in quel momento entra nella storia dell’arte. Quindi la storia dell’arte non comincia se non dopo la morte dell’opera, mentre finché l’opera vive, o per lo meno nei primi cinquanta anni della sua vita, c’è una relazione con le persone che vivono nello stesso periodo e l’hanno accettata, rifiutata, discussa. Quando quella gente muore, muore anche l’opera”. M. Duchamp, 1966.

Scrivere di Marcel Duchamp non è affatto semplice, ogni parola riferita alle sue opere, alla sua vita sembra sempre scontata, tutto già detto. Troppo forse già scritto.

Vorrei cominciare questo breve testo dedicato alla mostra inaugurata pochi giorni fa alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma con una domanda che ho ascoltato proprio durante l’apertura dell’evento.

Tra le centinaia di persone accorse ho ascoltato la voce di una bambina che davanti la famigerata Ruota di Bicicletta chiede testualmente a suo padre: “ Cosa c’è di speciale?”.Quelle parole così naturali mi hanno fatto riflettere profondamente sul nostro modo di osservare, sulle sovrastrutture da cui siamo ingabbiati e di un tratto ho capito che scrivere di Duchamp significa semplicemente rispondere a quella domanda ingenua e spontanea ma estremamente complessa.

Cosa possiede di speciale una ruota di bicicletta posta su di uno sgabello? Quale rivoluzione estetica, culturale e filologica ha portato con sé?

Replicare appare quantomeno futile eppure bisognerebbe riconsiderare la questione di fondo sotto un’ottica diversa, una prospettiva, concedetimi il francesismo, bouleversé, ovvero cercare di affrontare l’estetica Duchampiana attraverso il nostro tempo, tentando di non soffermarci sull’oggetto in sé, che sia una ruota di bicicletta, un attaccapanni, un orinatoio poco importa, bisogna accedere ad un altro campo visivo e afferrare il significato recondito di un gesto datato 1913, anno del primo ready made della storia dell’arte contemporanea.

Il concetto è ingenuo e spontaneo come la domanda della bambina che ho casualmente intercettato: prendere un oggetto, il più banale e comune che si possa pensare, investirlo di un nuovo significato e renderlo un’opera d’arte.

Ruota di Bicicletta non è altro che un paradosso, un gesto che unisce in modo contradditorio l’idea di movimento all’immobilità di uno sgabello, la sorpresa, o se vogliamo quel qualcosa di speciale risiede nell’incapacità dello spettatore di percepire realmente quale sia il valore insito in un manufatto che è in prima istanza un prodotto industriale e che non contiene in sé alcuna dote specifica, giunge a questo punto il pensiero fondante del lavoro di Duchamp: possiamo considerare un’opera d’arte solo perché esposta in un contesto museale, è il luogo, la struttura, l’evento che investe l’oggetto della sua aurea creativa e concettuale ?

Di quell’estetica contaminata da un linguaggio vuoto, privo di contenuti, di tutto il ciarpame che troppo spesso inghiottisce arte ed artisti, di un senso che è sfuggevole e inafferrabile, di tutto questo e di molto altro ancora narra Duchamp.

Le sue opere giocano un ruolo primario nell’ordine del contemporaneo, si misurano con il tempo ed evocano scenari di un’epoca lontana ma che ha dato avvio con tutto il suo fulgore alla rivoluzione della modernità.

Come è noto molti degli originali ready made andarono persi, Ruota di Bicicletta e Scolabottigle furono gettati nella spazzatura dalla moglie e dalla cognata dell’artista, l’aneddoto in fondo non fa che avvalorare la tesi quanto mai scontata: nello scarto di una società all’albore del capitalismo viene generata d’un tratto una rivoluzione espressiva che condizionerà ogni apparato artistico e concettuale del XX secolo.

La matrice genetica del pensiero di Duchamp è al centro di ogni speculazione che tratta le molteplici forme espressive contemporanee, permettetemi allora un piccolo appunto di questa esposizione che purtroppo non aggiunge nulla di nuovo alla storia critica e letteraria dell’artista, ma è un excursus più o meno riuscito di parte del pensiero concettuale del maestro francese; entrando nella prima sala soffermatevi sul ritratto che Luca Maria Patella, padre putativo del concettuale in Italia, ha dedicato a Duchamp, cercate di vedere al di là dell’opera e avrete tra le vostre mani la sintesi del moderno, questa è la vera chiave di lettura del genio d’oltralpe.

Se è vero che l’arte è morta con Duchamp è altrettanto famigerato l’epitaffio che egli stesso compose per la sua lapide, tutto racchiuso in poche e veritiere parole: D’ailleurs c’est toujours les autres qui meurent, questo è l’ultimo atto eversivo di un uomo che con il suo genio cambiò le sorti artistiche del Novecento.

SCHEDA INFORMATIVA
Mostra Duchamp
Re-made in Italy
Curatori Stefano Cecchetto, Giovanna Coltelli, Marcella Cossu
Sede Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Ingresso per disabili: Via Gramsci 73
Orari di apertura martedì – domenica dalle 10.30 alle 19.30
(la biglietteria chiude alle 18.45)
lunedì chiuso
Biglietto mostra 10 € intero – 8€ ridotto
4€ ridotto scuole
Informazioni T +39 06 32298221
www.gnam.beniculturali.it

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